Brunetta, Renato. Nasce a Venezia (dall’incrocio tra un tornello e la maschera di Balanzone). E’ l’Unità di Misura Ufficiale per la Statura umana (U.M.U.S.): l’italiano medio, ad esempio, è alto 1 Brunetta e 76 cm. Per certificarne la precisione, tutti gli anni Renato viene revisionato dall’Istituto Metrico Superiore che lo sottopone a pressatura e piallatura perché mantenga i requisiti corretti. Solo dopo viene punzonato, bollato e rimesso in libertà. A seguito di queste continue cure, Brunetta ha maturato negli anni un carattere leggermente acido ed un aspetto grifagno e schiacciato, perciò ha iniziato ad odiare tutti gli impiegati di tutti gli uffici pubblici del mondo. Per inciso, è l’unico uomo al mondo che, senza zeppa, riesce a sgattaiolare sotto ai tornelli senza farli muovere. Preferisce pertanto muoversi in metropolitana, autobus o vaporetto perché non paga il biglietto. E’ stato eurodeputato per molti anni, ma risulta essere uno dei più assenteisti anche se lui sostiene che il problema sia sempre lo stesso: non arriva a strisciare il cartellino nella macchinetta che rileva le presenze. Negli anni ha ricoperto molteplici incarichi in differenti governi, ma è soprattutto noto nel mondo per avere rinunciato ad ottenere il premio Nobel per l’economia pur di seguire la sua passione politica con la celebre frase “Ho molti amici che hanno vinto il premio Nobel e non sono molto più intelligenti di me”, confermando il principio che la sua intelligenza è direttamente proporzionale alla sua statura. Dopo varie bocciature è anche diventato professore universitario di ruolo a Tor Vergata: il miglior piazzamento però l’ha ottenuto a Teramo, dove, terzo su tre partecipanti, è stato tuttavia ritenuto idoneo anche se la cattedra era una sola e perciò in base al primo dei misteri italiani (“non conta quanto vali, ma chi sono i tuoi amici”) una cattedra non gli è stata negata. L’alfiere della trasparenza è inoltre appassionato alle abitazioni. Ha acquistato una casa dell’Inpdap a prezzo di favore a Roma e due ruderi (come ama chiamarli lui) a Ravello: al catasto i ruderi vengono prontamente declassati da “civili” a “popolari” ma il comune gli costruisce vicino una bella strada, così, per sport. E i ruderi diventano una villa di lusso. La cosa che non si spiega è che gli atti di acquisto sono stati seguiti, per conto di Renato, dall’assessore al bilancio del comune di Ravello ed è altrettanto strano come l’allora sindaco di Ravello in quota PD sia oggi consigliere ministeriale di Brunetta stesso ma in quota PDL: ha voluto premiare un lavoratore instancabile? Sia come sia, Brunetta è oggi uno tra i ministri più apprezzati del governo Berlusconi, si dichiara meglio di Padre Pio per aver ridotto le “malattie” degli italiani e le sue battaglie danno lustro al paese intero. Tutta la popolazione è con lui e contro gli scansafatiche, ad eccezione delle categorie che l’hanno fischiato: medici, infermieri, poliziotti, donatori di sangue, archeologi, precari, parlamentari, genitori di portatori di handicap, cancellieri di tribunale, tutti i fannulloni di sinistra, professori universitari, insegnanti, precari, studenti, ministeriali, ricercatori, consulenti, addetti agli sportelli, postelegrafonici, giudici, secondini, metalmeccanici, tessili, lavoratori del trasporto, autisti, bigliettai, custodi museali, filarmonici….Ma se la montagna non va da Maometto è Brunetta che trova i fondi per smuovere le montagne e con il progetto "Reti Amiche, porta la burocrazia più vicino al cittadino”: direttamente alla soglia di casa. Con il progetto “Reti Amiche” puoi continuare a non ottenere un cazzo dalla PA senza muoverti dal tuo salotto.
sabato 19 settembre 2009
domenica 12 luglio 2009
giovedì 2 luglio 2009
DDL Alfano: la situazione è gravissima - di Enzo Di Frenna
Ieri ero al Senato e ho partecipato a un incontro con il presidente della Camera,Gianfranco Fini, per la ricostruzione di una scuola in Abruzzo. Nelle stesse ore i senatori procedevano ad approvare il DDL Alfano sulle intercettazioni, ed oggi a quanto pare avremo il sì definitivo del Senato. La situazione - da questo momento - si fadifficilissima. Sul bavaglio all'informazione e le limitiazioni alla magistratura si è scritto molto in Rete. L'8 luglio a Roma alle ore 21, presso l'Alpheus (via del Commercio), Marco Travaglio e Antonio Padellaro - animatori del nuovo quotidiano Il Fatto - hanno organizzato la Notte Bianca dell'informazione, per denunciare l'anomalia della nuova legge. Io ci sarò.
Il 13 e 14 luglio la Federaziona nazionale della Stampa ha indetto una giornata disilenzio-sciopero dei giornalisti, per protestare contro il DDL Alfano. Alessandro Gilioli ha proposto un'allenza tra giornalisti e blogger, una sorta di silenzio in Rete. L'ho sentito ieri a telefono e gli ho dato la mia adesione. Massimo Mantellini, uno die blogger più letti in Italia, ha segnalato l'iniziatva di Gilioli. Anche lui è molto preoccupato, forse anche un pò rassegnato. Mi diceva ieri che - una roba del genere - in Usa non sarebbe mai passata e avrebbe scatenato l'azione delle associazioni di cittadini e consumatori. La situazione è gravissiva perchè il DDL Alfano prevede una sorta di bavaglio anche per i blogger e colpirà quelli più famosi. Il diritto alla rettifica inserito in modo pessimo, equipara infatti i blogger ai giornali: se entro 48 ore il gestore del sito non rettifica una qualsiasi informazione, arivano multe salatissime che costringeranno il blogger a chiudere.
Di fronte a questo scenario ormai birmano, non si può stare fermi. Bisogna reagire e agire. Mi piace l'idea di un testo da pubblicare simultaneamente - il 13 e 14 luglio - sui quanti più blog italiani. Ecco la mia proposta:
Questo blog oggi posta soltanto la protesta contro il DDL Alfano che limita l'attività dei blogger italiani. Ci sarà meno informazione libera e più censura. Sono cose che accadono in paesi come l'Iran e la Birmania. Questo post lo leggerai sul molti altri blog italiani. E' la nostra risposta silenziosa alla legge ammazza-internet.
Etichette:
Alfano,
blog,
blogger,
ddl sicurezza,
internet,
legge bavaglio,
sciopero
Il bavaglio, i giornalisti, i blogger - di Alessandro Gilioli
Qualche volta anche il sindacato dei giornalisti ne imbrocca una, e tra queste c’è la decisione di fare un giorno di silenzio dell’informazione il 14 luglio contro la legge bavaglio sulle intercettazioni: quella fortemente voluta da Berlusconi e fortemente gradita da criminali di ogni sorta (specie quelli della finanza).
Ecco, io credo che in questa occasione la storica antipatia che la gran parte dei blogger nutre nei confronti dei giornalisti dovrebbe essere messa da parte. Non solo perché il bavaglio in questione colpisce tutti i media, nessuno escluso, ma anche perché il ridicolo obbligo di rettifica inserito nel decreto medesimo andrà a colpire e a soffocare chi blogga, chi twitta, chi immette contenuti nei siti di condivisione e via dicendo. Guido Scorza, che insegna informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie, parla senza giri di parole di «una legge ammazza-internet».
Una giornata di silenzio dei blogger, per protestare insieme ai giornalisti, credo che sarebbe un bellissimo segno.
Oltre a essere un messaggio di maturità di chi pubblica in Rete, ormai affrancato dallo sciocco dualismo citizen vs. main media e consapevole che qui, i media, li si vuole colpire tutti.
Senza dire che il primo “sciopero dei blog” avrebbe un impatto mediatico straordinario - forse perfino superiore a quello dei professionisti.
mercoledì 1 luglio 2009
giovedì 11 giugno 2009
lunedì 25 maggio 2009
Documenti dal passato...
Questo manoscritto è stato rinvenuto il 24 maggio 2059 d.c. nel tramezzo di un bagno di Palazzo Grazioli in Roma. L’opera muraria, di fattura certamente posteriore alla realizzazione del palazzo e certificata “antisismica” da tal Guidone da Bortolaso che la progettò, pare sia servita a frazionare il bagno stesso in due bagni più piccoli, di cui uno ad uso esclusivo di persone minorenni (lo si evince dalla dimensione inferiore rispetto alla norma dei servizi igienici). Non è stato invece possibile attribuire la paternità dell’innalzamento del tramezzo poiché i lavori furono commissionati presumibilmente “A NERO” secondo l’usanza dell’epoca, ma certamente vi sono state impegnate maestranze provenienti dalla Numidia (nel tramezzo sono stati rinvenuti dei costumi da bagno ascellari con ricamate frasi del tipo “daje Giugurta!” ed una piantina con le principali rotte natatorie dal porto di Skikda alla foce del Tevere, che serviva a questi apprezzatissimi pendolari per raggiungere a nuoto ogni mattina il posto di lavoro). Diverso è il discorso per l’attribuzione della ode: non v’è, a tutt’oggi, una versione univoca. I migliori specialisti mondiali, tuttavia, a simposio per oltre 32 anni presso il “Centro Studi San Silvio” alla Maddalena, sono praticamente certi che sia stata vergata di suo pugno da Silvio medesimo, in un’epoca compresa tra il 2009 ed il 2012 d.c., e che per tale sapienza poetica venne anche detto L’Aulico.“L’Ode della Libertà”, questo è il titolo del componimento, reca con sé anche delle notazioni ad opera del massimo esegèta delle opere di Silvio, tale Maurizio Lupi, che svelano ampiamente la portata filosofica e l’alto livello morale che ispirarono il Nostro durante la redazione del testo.Oggi, finalmente, a 100 anni dal rinvenimento dell’ode, ed in concomitanza coi Fasti Imperiali, essa viene pubblicata integralmente col corredo della postilla critica.
L’ODE DELLA LIBERTA’!
1 Sandro, io vorrei che tu e Maurizio ed io
2 fossimo presi per magìa
3 e messi su una navicella, spaziale,
4 che ad ogni soffio di vento
5 andasse per lo cielo e per l’etere secondo l’altrue volontà.
6 Sicché Fini o Napolitano o altro cattivo magistrato
7 non ci potesser causare ostacoli,
8 anzi, vivendo accomunati dalla stessa volontà,
9 crescesse il desiderio dello stare insieme, verso l’infinito, e oltre!!
10 E il valente mago Scapagnini ponesse con noi
11 poi la signorina Mara e la signorina Emma,
12 che pur resiste alla lusinga,
13 insieme con quella ch’è tra le trenta donne più belle del parlamento
14 e qui, parlassimo sempre di gnòcca,
15 e ognuna di loro fosse contenta,
16 così come io credo che saremmo noi…
17 …. e certamente, invero, lo saremo!!
POSTILLA CRITICA
Verso 1
La magnanimità di Silvio è subito esibita in questo primo verso in cui, posizionandosi da ultimo del trio e chiamando affettuosamente per nome i suoi pupilli li fa assurgere allo stesso suo livello. Il Gasparri passerà il resto dei suoi giorni in adorazione perpetua del Berlusconi (con conseguente parèsi del labbro inferiore) ed in perenne difesa delle sue azioni, allora aspramente avversate da una minuscola parte dell’ingrato popolo italico. In quell’epoca d’altronde non fu compresa appieno la grandezza dell’operato di Silvio. Il Gasparri verrà in seguito beatificato, mentre del Bondi, passato alla caduta del regno di Silvio nelle fila avversarie, si persero le tracce. Pare che un successivo sonetto (Ode al nemico risanato) fu da Silvio dedicato al Bondi in una posteriore fase di riavvicinamento tra i due, quando Silvio entrò in odore di santità dopo aver colonizzato anche il soglio di Pietro. Tuttavia, i critici, non potendo attribuire con certezza la paternità di quel sonetto, avvalorano la tesi che Bondi venne amorevolmente racchiuso in un plinto di cemento armato del Ponte sullo Stretto. Purtroppo non si hanno le prove a suffragio di questa affascinante tesi: il Ponte crollò il giorno stesso dell’inaugurazione a causa del colpo ricevuto dalla bottiglia di champagna sul pilone del versante di Reggio Calabria. Le forti correnti dello stretto e la profondità del mare in quei punti hanno poi reso vano il tentativo di recupero dei blocchi cementizi che torme di schiavi, dal 2012 al 2079, avevano affastellato per la realizzazione di questa meraviglia. Resta peraltro vero, che la Trinacria da allora fu raggiungibile a piedi, seppure in cordata doppia.
Versi 2-5
La malcelata insofferenza di Silvio per il ruolo che dovette rivestire in quegli anni (non è dato sapere da chi, ma fu costretto suo malgrado a scendere nell’agòne politica del tempo per condurre il paese tutto al bene supremo), induce il nostro a lanciare questa sorta di preghiera, di invocazione ad’una misteriosa entità sovrannaturale che lo possa salvare dal suo tristo destino. L’indole (speculativa, riflessiva, filosofica e poetica) del Berlusconi riluce ampiamente in queste righe, ove, affidando addirittura il suo destino all “altrue volontà” dimostra che la sua massima aspirazione è quella di vivere una vita contemplativa, rifuggendo dalle incombenze materiali della vita e ponendo cieca fiducia nella sua base elettorale.
Versi 6-9 In questi versi si ribadisce da parte del Nostro l’ambizione massima ad una vita “semplice”, di meditazione accanto ai suoi amici e, nel contempo, Egli lancia una pesante, seppur breve, invettiva: dicono fonti bene informate (Arnulfo Capezzone lo sostiene nel suo trattatello “Sòna Chiavica”) che la brevità dell’invettiva fu voluta proprio per dimostrare che non c’era acrimonia da parte di Silvio nei confronti dei destinatari; fu più per un innato senso storiografico che Egli volle generosamente rappresentare la presenza marginale e blanda di una qual certa “opposizione” al Suo operato. L’invettiva viene scagliata dunque contro i tre elementi che, soli si badi, perturbarono la serenità di Silvio. Di Fini (duca d’Almirante e Fiuggi) si sa che fu dapprima un vassallo fedele, al quale, per riconoscenza, Silvio donò un’ala del suo più importante castello, quello di Roma, dove si svolgevano costantemente frenetici Baccanali. Ma Fini se ne ebbe a male e lamentandosi con tale Franceschino (che in realtà godeva dell’usufrutto di circa un terzo del Palazzo e di un piano intero dell’Oviesse di Ladispoli) in una missiva lamentava che: “…non di un’ala del real palagio trattasi, mio caro, bensì d’una misera Camera… la più rumorosa e piena di bifolchi ch’io ricordi da che nacqui…”. Fini, in seguito, internato ai bagni penali di Civitavecchia, scrisse le sue “Memorie Rosso Ruggine”: confessò di essere ateo e filo-marxista; di essere stato segretario della FGCI sotto le sembianze di D’Alema prima e di Veltroni poi; di essersi impossessato del corpo di Achille Occhetto all’epoca della Bolognina; di essere stato il doppiatore della voce di Nanni Moretti nei momenti più alti e drammatici del film “Palombella Rossa”; di essere stato, infine, il primo ballerino del Bolsciòi per diciassette anni durante i quali svolse attività anarco-insurrezionale nei principali teatri in cui si esibì. Del secondo, Napolitano, non si sa moltissimo: sebbene avesse avuto un passato da scavezzacollo (Martin Edgar Blosnikov Senior nel suo pamphlet “Era meglio morire da piccoli” addirittura rivela un suo flirt con una Jaqueline Onassis minorenne…) con l’incalzare dell’età finì per assumere posizioni moderate, tanto che lo stesso Silvio pare avesse tramato perché il Napolitano assurgesse ai massimi livelli istituzionali dell’epoca. Una volta giunto lì, però, il Napolitano manifestò, ma solo a tratti ed a causa della senilità, una serie di atteggiamenti reazionari tesi a rallentare l’ineluttabile successo di Silvio. Sospeso a divinis da Papa Camillo Benedetto I° (presumibilmente figlio legittimo di Silvio e di tale Antonia Passatotano, rivelatasi in seguito essere la trentaseiesima moglie nascosta, e dunque fido alleato di Silvio), il Napolitano venne ricondotto allo stato embrionale e nutrito e idratato a forza; indi costretto ad ascoltare 24 ore su 24 il commento critico alla Costituzione Italiana (sospesa anch’essa a tempo indeterminato) eseguito dal trio Ronchi-Scajola-Brunetta su musiche sacre di padre Gianni Baget Bozzo. Dopo quattro anni di questo regime tuttavia fu liberato e c’è chi giura di aver visto svolazzare la sua bionda criniera mentre cavalcava le onde californiane a bordo della sua inseparabile Lancia Flavia del ’56, blu, rigorosamente con bandierina italiana (fonte: Thomas Flipmann). Infine: i cattivi magistrati. In realtà è notorio (Marco Travaglio Censore asserisce nel suo saggio “BerlusCasta” che Silvio alludesse ad una minima parte di essi: non più di sei o settemila magistrati; ossia solo quelli che negli anni avevano seguito i processi in cui Egli, per il gusto della sfida, si intrufolava da innocente, autoaccusandosi delle peggiori nefandezze. Ovviamente questo verso dell’ode è uno sberleffo affettuoso alla categoria intera che non aveva capito lo spirito burlone di Silvio. La maggior parte di loro venne tuttavia ceduta in blocco a Mouhammar Gheddafi (durante il mercato di riparazione di Ottobre in una concitata seduta presso l’Hotel Hilton di Milano) che pretese, sotto la minaccia di imbarcarli tutti su una bagnarola e rispedirli al mittente, la realizzazione di una autostrada a sei corsìe in tartan anallergico di 1878 chilometri da Tripoli a Ma’Tan as Sarah, onde potersi dedicare alla prediletta corsa di dromedari insieme ai maggiorenti della tribù.
Versi 10-13 E’il verso più misterioso.
Sembra avvenire la rivelazione dell’identità del nume a cui Silvio rivolge la sua prece. Il nome non lascerebbe adito a dubbi: Scapagnini fu lo stregone di corte che per anni e anni (e lifting su lifting), mantenne in splendida forma il Nostro. Tuttavia, e ce lo indica il prosieguo dell’ode, da questo istante in poi la natura burlona di Silvio affiora impenitente e con irresistibile simpatìa. Lui, scevro da qualsivoglia forma morbosa nei confronti delle donne, allude infatti in maniera ironica alla possibile presenza sulla navicella di tre dame, a sottolineare, anzi con forza, la sua quasi misoginìa e la raggiunta pace dei sensi. Mara, lo sappiamo grazie alla traduzione eseguita dal rigoroso studioso di Mario Borghezio sullo Stelo di Uhraratt, (un macigno di granito di 18 tonnellate sul quale vennero incise in lingua Sardo-Innuhit ed in tardo-Croatians le registrazioni delle intercettazioni tra Silvio e Mara stessa e che il Borghezio riuscì a tradurre solo dopo aver convissuto forzatamente per 28 mesi con i 1370 Rom del campo nomadi Casilino ‘900), altri non è che l’amata Veronica Lario. Altrettanto chiara è la figura di Emma Marcegaglia di Montezemolo: è semplicemente l’economa del regno di Silvio, che poi abbandonò il suo ruolo e divenne primo pilota della Ferrari al Grand-Prix di Formula 1 di Roma, voluto dal buffo ma simpatico camerata Gianni Alemanno, e svoltosi la notte di Natale del 2019 sulla sopraelevata realizzata per l’occasione tra il Colosseo, gli Scavi di Ostia Antica e il Sacrario delle Fosse Ardeatine. Essendo per lui, oltretutto, poco più che una velina è facile smontare la tesi (sostenuta da Armando Cossutta per invidia e da Francesco Rutelli, imbufalito dal non avere lo stesso successo con le donne, nonostante la propria somiglianza con Big-Jim) che vorrebbe rappresentare Silvio come un essere affetto da vaginìte. Sulla terza donna, “ch’è tra le trenta donne più belle del parlamento” sono invece tuttora aperte le congetture: escluse la Paola Binetti e la Livia Turco (troppo mascoline, e dunque non funzionali al paradosso arguto di Silvio), esclusa la Rosy Bindi (fu lei stessa a chiedere a Silvio di non essere menzionata, per modestia) ecco rimanere in pista Giorgia Meloni e Mariastella Gelmini. Ma la Gelmini, all’epoca della stesura di questa ode, ricopriva il ruolo di Ministro della Distruzione dell’Istruzione e dunque non pare legittimo l’accostamento. A nostro modesto parere, dunque, la misteriosa terza donna può solo essere la Giorgia Meloni, peraltro amorevolmente appellata “la zoccola” proprio da un esuberante Silvio durante una carnevalata rimasta celebre. Ecco quindi, in virtù di queste premesse, che si apre una nuova luce anche sulla vera identità del nume tutelare. Non è infatti lecito pensare che tanto genio poetico rivelasse in maniera così esplicita il nome. Allora, Marcello Dell’Utri, è stato asserito da alcuni. Ma nonostante decenni di studi sui carteggi e sugli intrecci tra Silvio e il Dell’Utri non sono emerse ancora prove sufficienti né per dimostrare che i due si conoscessero veramente, né semplicemente per incastrare il Dell’Utri per le sue attività di stampo mafioso. Dunque, resta un solo uomo che può, a buon diritto, essere ritenuto il destinatario dell’invocazione di Silvio: è quel Mariano Apicella che da sempre accompagna le sorti del Nostro e che da successive ricostruzioni risulta essere il nient’altro che un clone dello stesso Silvio.
Versi 13-17 La chiosa finale.
Silvio rimane all’interno dello scherzoso paradosso ed anzi, lo rafforza (infatti si concede l’uso di un termine tratto dalla vulgata popolare in voga in quegli anni: gnòcca). Ma non sfugge a nessuno che invece alluda ad argomenti a lui più congeniali; la filosofia, la metafisica, la semantica, lo spirito, il senso dello stato: in definitiva riemerge con prepotenza tutta l’ansia e la sofferenza intima di chi è chiamato a dover realizzare in terra il sommo bene per gli altri… Resta un unico dubbio circa il significato della penultima frase: “così come io credo che saremmo noi”. Pare, in conclusione, una amara riflessione sul suo stato di essere “incompreso” e leopardianamente “infelice”; balena in Lui, per una frazione di secondo, il timore che il popolo non riesca a comprendere la serena e distaccata limpidezza dei suoi ragionamenti, e che dunque non maturerà mai quella “elevazione culturale e spirituale” del popolo che Lui da sempre persegue e auspica per i suoi concittadini … ma per fortuna fu solo un attimo, un dubbio fugace e la storia fino ai nostri giorni testimonia che il Nostro riuscì agevolmente nell’impresa che si era prefisso.
POST-POSTILLA
Alcuni acuti critici letterari, hanno posto la questione se all’epoca del componimento fosse ancora in vita tale Umberto Bossi, non menzionato nell’ode. Per dovere di cronaca dobbiamo rammentare che il Bossi fu dapprima un acerrimo rivale degli eserciti Berlusconiani, ai quali si oppose con una nutrita schiera di ronde padane. Poi, visto che la situazione sul terreno volgeva al peggio, decise di stringere un patto di non belligeranza con Lui, operando una divisione territoriale abbastanza rigida della penisola italica (si narra che sul Rubicone, per anni insistettero decine di migliaia di contadini armati di forconi e roncole, pronti a difendere le sacre pianure). Qualcuno addirittura (Geronimo Stilton, nel suo trattatello su “Breve Storia d’Italia da Frà Cappio da Velletri al Lodo Alfano) sostiene che il Bossi non venne menzionato per una sorta di invidia da parte del Nostro. Il Bossi, è vero, amava passeggiare nei suoi pascoli sostenendo ad alta voce, in presenza della donzelle, di averlo più duro di tutti e così suscitando gridolini di approvazione e bramosìa nelle astanti. Ma Silvio dimostrò di averlo biforcuto (in un certàme disputatosi alla foce del Po, tra i migliori boscaioli leghisti) come peraltro la lingua. Dunque non trova rilievo storico la presunta invidia del Nostro nei confronti del Bossi. Pare invece acclarato che il Bossi non fu menzionato perché all’epoca era impegnato nel trovare una commissione d’esame che promuovesse il figlio Renzo all’esame di maturità: le severe difficoltà che incontrò Bossi padre in tale arduo compito e le conseguenti ambasce convinsero Silvio a non punzecchiare l’alleato nella sua ode, onde evitargli ulteriori scompensi cardiocircolatorii.
POST-POST-POSTILLA o Nota di Redazione
In un comunicato stampa odierno, Silvio Berlusconi ha smentito se stesso accusando la stampa ed i sedici comunisti rimasti in Italia (racchiusi in una gabbia del Bioparco di Roma insieme a sessantadue babbuini) di manipolazione mediatica, specificando che quando lui parla di Gnòcca, allude veramente ed esclusivamente alla gnòcca…
giovedì 21 maggio 2009
sabato 18 aprile 2009
domenica 12 aprile 2009
Le lacrime del Caimano - di Giulio Bailetti
L’Italia si sa è un Paese sismico, non voglio ripetere ora qui che noi italiani siamo di natura emotivi o sanguigni, voglio dire solo che da sempre da noi ci vengono molti terremoti. Le costruzioni dovrebbero quindi adeguarsi a questa situazione sismica e non viceversa, la situazione sismica adeguarsi alle nostre compiacenti costruzioni. Sì, sarebbe bello lo ammetto, questo sì. Però non succede sempre. Succede spesso, ma non sempre. Per molti anni le costruzioni stanno in piedi brillantemente, come se la nostra non fosse una zona segnata. Siamo stati furbi ancora una volta. Abbiamo speso molto meno e le case reggono lo stesso. Che fighi, mica come tutti quegli altri scemi.
Poi un giorno zac! Succede il quarantotto. Certo non sempre allo stesso posto e alle stesse persone. No, succede democraticamente per fortuna, una volta qua e una volta là e non troppo spesso, solo frequentemente. Anche la gente e le generazioni sono poi diverse e il ricordo non si tramanda sempre così limpido. Forse avere le palle significa anche saper insistere fino a che i terremoti si adeguino alle nostre costruzioni. Su questo credo che non ci piova.
Berlusconi al funerale ha pianto, un pianto di liberazione e in un certo senso di solidarietà. Infondo sarebbe anche potuto succedere a lui, di rimanere sotto una di queste costruzioni ( che sa benissimo come sono state fatte ), magari mentre il giorno prima in conferenza stampa parlava. Era stato infatti anche visibilmente molto teso, oltre che illogico e sgrammaticato. Per questo ai funerali poi ha pianto veramente. Senza contare che piangere in mondovisione è, diciamo così, almeno fotogenico, non come piangere privatamente, che non interessa a nessuno.
Un costruttore, anche se per ora in zone non troppo sismiche, che piange ai funerali dei terremotati, che significa? Se è solo per questo, si dice anche che i coccodrilli piangano, anche se io non ne ho mai visti, ma comunque non in mondovisione, soffrendo pure un po’, mentre digeriscono la loro preda. Forse avrà anche pensato che un giorno dovrà pure personalmente rispondere di certi crolli. Non è poi detto che ai nati con la camicia, questa rimanga per sempre bianca.
Noi italiani all’estero comunque, ci stiamo già preparando. Dobbiamo accogliere la prossima ondata di connazionali, prevalentemente da zone sismiche, ma non solo. Si tratta di trovargli case, lavoro e dignità. Noi cercheremo di non prenderli in giro.
12/04/09 - di Giulio Bailetti - “Incontri di letteratura spontanea” di Monaco di Baviera - www.megachip.info
Etichette:
berlusconi,
costruttori,
crolli,
funerale,
Giulio Bailetti,
lacrime,
terremoto
venerdì 10 aprile 2009
Misteri di Stato: scoperto Echelon Italia - di Rita Pennarola
Prove generali di stretto controllo telematico nei tribunali e Procure di tutta Italia. Genchi lo aveva capito: un grande orecchio è in ascolto e con il nuovo Registro Generale Web l'operazione sara' completata.
A realizzare gli apparati per conto di Via Arenula sono alcune big finite nelle inchieste Why Not e Poseidone. Ecco in esclusiva la storia vera dei protagonisti di questo inedito Echelon a Palazzo di Giustizia. Vicende che ci riportano lontano. Fino a misteri di Stato come la strage di Ustica ed il massacro di via D'Amelio.
C'erano una volta i rendez vous segreti nelle suite super riservate dei grandi alberghi. A Roma era l'Excelsior, a Napoli una fra le quattro-cinque perle del lungomare. Nella capitale ricevevano gli uomini di Licio Gelli - quando non direttamente il Venerabile in persona - per impartire quelle direttive stabilite in luoghi ancora piu' elevati che poi i diversi referenti, tutti d'altissimo rango (compresi capi dei governi e della magistratura) dovevano portare avanti per orientare il corso della storia. Cos'altro era, per esempio, il summit che si tenne al largo di Civitavecchia sul panfilo Britannia della regina Elisabetta il 2 giugno del 1992, quando fu decisa quella colonizzazione selvaggia dell'Italia - attuata a suon di privatizzazioni senza soluzioni di continuita' prima da Prodi e poi da Berlusconi - di cui ancora oggi scontiamo gli effetti?
E cos'altro fu a Napoli, dentro il prive' a un passo dal cielo con vista sul golfo, quella sorta di “tribunale preventivo” nel quale, al primo scoppio serio di Tangentopoli, nel 1993 vennero convocati i proconsoli democristiani e socialisti per imporre loro di accettare un lauto vitalizio dopo essersi accollati le malefatte giudiziarie dei rispettivi leader politici?
Piccoli squarci di luce sotto un velame oscuro che si e' fatto nel tempo sempre piu' plumbeo, ma anche piu' sofisticato grazie all'uso ardito e sapiente di tecnologie solo vent'anni fa impensabili. Cosi' a fine anni ottanta, mentre gli americani sperimentavano il controllo a tappeto dei miliardi di abitanti del pianeta collaudando la piu' straordinaria rete spionistica telematica che fosse mai stata immaginata - Echelon - prima solo in ambito militare, poi estesa anche ad usi civili, in Italia per decidere le sorti della giustizia ed incanalare il destino dei processi era ancora necessario ricorrere ad incontri vis a vis, sfruttando canali di mediazione come le agape massoniche o i pizzini orali, passati di bocca in bocca tra colletti bianchi e intermediari mafiosi.
Da tempo non e' piu' cosi'. Almeno da quando, una decina di anni fa, il controllo telematico dei palazzi di giustizia italiani ha cominciato a diventare una rete che avviluppa, scruta e controlla tutto, dai piani alti della Cassazione alla scrivania dell'ultimo cancelliere, dalle Alpi alla Sicilia. Dopo il monitoraggio minuto per minuto delle operazioni finanziarie - che avvengono ormai esclusivamente on line da un capo all'altro del mondo - ora qualcuno sta cercando di tracciare ed orientare definitivamente anche le sorti dell'intero sistema giudiziario nel Belpaese. Al punto che, a distanza di appena quattro-cinque anni dagli spionaggi alla Pio Pompa o alla Tavaroli, il quadro e' un altro: oggi non serve piu' spiare, basta entrare nella rete dalla porta giusta, mettersi in ascolto. E poi decidere.
Ne e' passata insomma di acqua sotto i ponti da quel quel luglio del 1992, quando per coprire errori ed omissioni nel massacro di Capaci si rese “necessario” far saltare in aria anche Paolo Borsellino con tutta la sua scorta, lasciandoci dietro, ancora una volta, tutta una serie di tracce insanguinate, piccoli e grandi particolari cartacei fatti sparire troppo in fretta, come l'agenda rossa, portata via clamorosamente sotto gli occhi di tutti dal colonnello Arcangioli solo pochi minuti dopo l'eccidio. Un sistema, del resto, quello della “pulizia totale”, che compare come un macabro rituale anche in omicidi di quel tempo, quale quello del giornalista antimafia Beppe Alfano, nel 1993, la cui figlia Sonia racconta di quegli autentici plotoni di polizia e carabinieri entrati per ore a devastare armadi e cassetti di una famiglia ammutolita da un dolore lancinante ed improvviso, alla ricerca di carte, documenti, fascicoli, «quasi che il criminale fosse mio padre - racconta oggi Sonia - ancora a terra in una pozza di sangue, e non coloro che lo avevano atteso per ammmazzarlo».
Quella volta pero', quel 19 luglio 1992, era gia' in azione un vicequestore siciliano che nell'uso delle tecnologie informatiche era piu' avanti delle stesse barbe finte nostrane, ancora costrette a perquisizioni, pulizie, furti per occultare le prove dei crimini di Stato. Quel vicequestore si chiamava Gioacchino Genchi. E la sua storia, i violenti tentativi di zittirlo e delegittimarlo fino all'annientamento (come la repentina sospensione dal corpo di Polizia, che ha fatto sollevare l'opinione pubblica in tutta Italia), ci fa ripiombare di colpo dentro l'Italia di oggi, in un Paese dove per uccidere uno o due magistrati non e' piu' necessario spargere sangue. Perche' a tutto pensa il grande Echelon del sistema giudiziario italiano, Che ha - come vedremo - nomi, volti e terminali ben precisi.
Il padre di Echelon
E partiamo da un uomo che Echelon ha confessato di averlo realizzato per davvero. O, almeno, ha ammesso di aver collaborato alla messa a punto del Grande Orecchio americano. Quest'uomo si chiama Maurizio Poerio, e' un imprenditore nei sistemi informatici ad altissima specializzazione e su di lui si soffermano a lungo i pubblici ministeri salernitani che indagavano sui loro colleghi della procura di Catanzaro, messi sotto accusa con una mole impressionante di rilevanze investigative raccolte dall'allora pm Luigi De Magistris grazie anche alla consulenza prestata da Gioacchino Genchi.
Un nome, Poerio, una scatola nera che racchiude mille misteri. Ma cominciamo dall'oggi. E cominciamo dalle tante verbalizzazioni nelle quali De Magistris a Salerno dichiara apertamente che potrebbe essere stato spiato, che tutta la sua attivita' investigativa era stata probabilmente - o quasi certamente - monitorata fin dall'inizio. Non attraverso gli 007 dei Servizi, ma in maniera semplice e naturale, vale a dire attraverso la societa' privata che gestisce i sistemi informatici dell'intero pianeta giustizia in Italia. Questa societa' e' la la CM Sistemi. Appunto. Con una potentissima e storica diramazione - la CM Sistemi Sud - proprio in Calabria, regione dalla quale la attuale corporate aveva avuto origine negli anni ottanta. Ma anche la regione dove questa societa' si aggiudica da sempre l'appalto per la “cura” degli uffici giudiziari. E in cui risiede il suo amministratore delegato: quella stessa Enza Bruno Bossio, moglie del plenipotenziario Ds Nicola Adamo ma, soprattutto, pesantemente indagata prima nell'inchiesta Poseidone (il bubbone avocato a De Magistris in circostanze ancora tutte da chiarire sul piano della legittimita') e poi in Why Not.
Perche' del colosso CM Sistemi Maurizio Poerio e' una colonna portante, capace di tessere ed orientare i rapporti con la pubblica amministrazione - leggi in particolare Via Arenula - come e' scritto, fra l'altro, nell'indicazione specifica delle sue mansioni: “consigliere delegato ai rapporti istituzionali”.
Ma Poerio non e' solo un manager dell'ICT (Information and Communication Technology) prestato alla CM. Il suo ruolo, come dimostra la perquisizione di De Magistris presso i suoi uffici romani, va ben oltre. L'11 settembre del 2006, interrogato nell'ambito di Poseidone, l'imprenditore calabrese prova a prendere le distanze da quella societa', che appare gia' dentro fino al collo nell'inchiesta giudiziaria. «Conosco molto bene - affermava rispondendo ad una precisa domanda - Marcello Pacifico, presidente della CM Sistemi, societa' per la quale ho collaborato attraverso un contratto di consulenza professionale». Un tentativo estremo di prendere il largo: da buon commercialista (e' iscritto all'ordine di Catanzaro) Poerio sapeva bene che sarebbe bastata una semplice visura camerale a smentirlo. Della romana CM Sistemi spa, infatti, oltre un milione e mezzo di capitale nel motore, il manager calabrese e' a tutti gli effetti consigliere d'amministrazione, all'interno di un organigramma che risulta quasi identico a quello della sua costola meridionale, la stessa CM Sistemi Sud capitanata dalla Bruno Bossio.
Perche' allora parlare di semplici “consulenze”? Il fatto e' che la faccenda si stava facendo complicata. Dal momento che per la prima volta quel grande orecchio invisibile capace di scrutare dentro tutti gli uffici giudiziari italiani stava dando segnali concreti della sua esistenza. E in gioco - cominciava a capire De Magistris, ma ne era ben consapevole da tempo lo stesso Poerio - non c'era solo la storia degli appalti pilotati a Procure e tribunali della Calabria (gara “regolarmente” aggiudicata per l'ennesima voltra alla CM Sistemi Sud), ma la credibilita' dell'intero pianeta giustizia nel nostro Paese, se non addirittura i destini del sistema Italia. E questo, soprattutto per due principali motivi.
E' il consulente del pubblico ministero De Magistris, Pietro Sagona, ad illuminare i pm salernitani su alcune circostanze a dir poco imbarazzanti che riguardano la CM Sistemi (siamo al 7 aprile 2008, ma Sagona riferisce particolari che evidentemente erano gia' ben noti a Poerio e company): «Nell'ambito degli accertamenti da me espletati e' emersa la rilevanza del consorzio Tecnesud, destinatario di un finanziamento pubblico gia' in fase di stipula della convezione con il Ministero delle Attivita' Produttive, non stipulato soltanto a causa della mancanza di uno dei cinque certificati antimafia richiesti e pervenuti relativo alla societa' Forest srl titolare di un'iniziativa consorziata ed agevolata. Il finanziamento era di sessanta milioni di euro complessivi, otto dei quali a carico della Regione Calabria, il residuo a carico dello Stato».
Del consorzio faceva parte anche la CM Sistemi. Ma perche' alla socia Forest non era stato rilasciato il certificato antimafia? Risponde Sagona: «Presidente della Forest era tale avvocato Giuseppe Luppino, nato a Gioia Tauro il 5 marzo 1959, nipote di Sorridente Emilio, classe 1927, ritenuto organicamente inserito nella consorteria mafiosa dei Piromalli-Mole'». E non e' finita: «il predetto Luppino risultava esser stato denunciato per gravi reati quali turbata liberta' degli incanti, favoreggiamento personale, falsita' ideologica ed associazione per delinquere di stampo mafioso» e sottoposto a procedimento penale a Palmi.
Ricapitolando: la CM Sistemi, talmente affidabile da vincere la gara d'appalto per l'informatizzazione di tutti gli uffici giudiziari nella regione Calabria, sedeva nel consorzio Tecnesud accanto ad una sigla, la Forest, riconducibile ad una fra le piu' pericolose cosche della ‘ndrangheta.
Una circostanza allarmante. Ma non l'unica. In quello stesso, fatidico interrogatorio dell'11 settembre 2006 Poerio, per accrescere la propria credibilita' di manager in rapporti transnazionali, non manco' di aggiungere: «Mi sono occupato per conto della I.T.S. di una serie di progetti per l'utilizzo di tecnologie per le informazioni satellitari per uso civile, quale ad esempio il progetto Echelon negli Stati Uniti d'America e GIS in Italia». Di sicuro, insomma, Poerio era un personaggio che in fatto di “controllo a distanza” poteva considerarsi fra i massimi esperti mondiali.
I fratelli del Re.Ge.
Fu probabilmente proprio allora che la sensazione di essere spiato divento' per De Magistris qualcosa di piu' d'una semplice impressione. Con elementi che nel tempo andavano ad incastrarsi come tessere di un mosaico per confermare quella ipotesi. Sara' lo stesso ex pm a raccontarlo piu' volte ai colleghi salernitani, come si legge in alcune pagine delle sue lunghe verbalizzazioni riportate per esteso nell'ordinanza di perquisizione e sequestro emessa a carico della Procura di Catanzaro.
Il 24 settembre del 2008 De Magistris contestualizza innanzitutto tempi e personaggi di quel “sistema” che aveva il suo terminale dentro il ministero della Giustizia, retto nel 2007 dall'indagato di Why Not Clemente Mastella. Ed arriva al collegamento fra quest'ultimo e la CM Sistemi. Ci arriva attraverso un altro carrozzone politico destinatario di enormi provvidenze pubbliche in Calabria, il consorzio TESI, del quale faceva parte la societa' della Bruno Bossio (e quindi di Poerio): sempre lei, la regina CM. «Personaggio che ritenevo centrale quale anello di collegamento tra il Mastella ed ambienti politici ed istituzionali, oltre che professionali, in Calabria ed anche a Roma - dichiara De Magistris - era l'avvocato Fabrizio Criscuolo, il cui nominativo emergeva anche nelle agende e rubriche rinvenute durante le perquisizioni effettuate nei confronti del Saladino (il principale inquisito di Why Not Antonio Saladino, ndr). Nello studio associato Criscuolo presta servizio quale avvocato anche Pellegrino Mastella, figlio dell'ex-ministro».
Ma non basta. «Il predetto Criscuolo risulta aver coperto la carica di consigliere d'amministrazione della Aeroporto Sant'Anna spa, con sede in Isola Capo Rizzuto, il cui presidente era il professor Giorgio Sganga, coinvolto nelle indagini Poseidone e Why Not in quanto compariva nell'ambito della compagine della societa' TESI» in compagnia, appunto, della CM. Insomma, da Mastella a Criscuolo, da Criscuolo a Sganga fino a TESI, dove ritroviamo la CM e gli appalti negli uffici giudiziari. Compresa la realizzazione del RE.GE, vale a dire lo strategico Registro Generale centralizzato nel quale pm e gip sono tenuti a riversare tutte le risultanze del loro lavoro, ma anche ad anticipare le iniziative giudiziarie (perquisizioni, sequestri etc.) che andranno ad effettuare di li' a poco.
Altro trait d'union fra gli artefici del Grande Orecchio in Procura e l'allora titolare di Via Arenula lo si rintraccia seguendo la carriera del secondo figlio di Mastella, Elio. «Dalle attivita' investigative che stavo espletando - precisa De Magistris - era emerso che Elio Mastella era dipendente, quale ingegnere, nella societa' Finmeccanica, oggetto di investigazioni nell'inchiesta Poseidone, societa' interessata anche ad ottenere il controllo, proprio durante il dicastero Mastella, dell'intero settore delle intercettazioni telefoniche». Ma in Finmeccanica «si evidenzia anche il ruolo di Franco Bonferroni (legatissimo a piduisti come Giancarlo Elia Valori e Luigi Bisignani, ndr) gia' destinatario di decreto di perquisizione e coinvolto nelle inchieste Poseidone e Why Not, nonche' il genero del gia' direttore del Sismi, il generale della GdF Nicolo' Pollari». E dire Finmeccanica significava in qualche modo tornare a Maurizio Poerio, che proprio insieme a quella societa' aveva preso parte a numerosi progetti internazionali, in primis quello denominato “Galileo”.
Il nemico ti ascolta
Il 16 novembre 2007 De Magistris dichiara di aver acquisito elementi sull'attivita' di “monitoraggio” che andava avanti ai suoi danni (e questo spiegherebbe fra l'altro anche il rincorrersi di strane “anticipazioni”, come quando il pm apprese dell'avocazione del fascicolo Poseidone dalla telefonata di un giornalista dell'Ansa dopo che, a sua totale insaputa, la notizia era addirittura gia' stata pubblicata da un quotidiano locale): «spesso ho avuto l'impressione di essere anticipato, e questo sia in “Poseidone che in Why Not; si e' verificato, cioe' proprio mentre... appena arrivo al punto finale, le indagini vengono sottratte. Poi... intervenivano le interrogazioni parlamentari, e arrivavano gli ispettori, e arrivavano le missive. Cioe' sempre o di pari passo, o qualche volta addirittura in anticipo su quelle che potevano essere poi le mosse formali successive».
Ma le “fughe di notizie”, una volta trovato il sistema per realizzarle, potevano anche essere sapientemente pilotate: «ad un certo punto - dice De Magistris ai colleghi di Salerno nelle dichiarazioni rese a dicembre 2007 - penso che sia stata utilizzata la tecnica di “pilotare” una serie di fughe di notizie per poi attribuirle a me. Si facevano avere notizie anche a giornalisti che avevo conosciuto in modo tale da attribuire poi a me il ruolo di “fonte” di questi ultimi. Per non parlare delle gravi e reiterate fughe di notizie sulle audizioni al Csm anche in articoli pubblicati dal Corriere della Sera e da La Stampa: perfino la mia memoria, depositata con il crisma del protocollo riservato, e' stata riportata, in parte, virgolettata».
E cosi', grazie allo stesso, collaudato “orecchio”, puo' accadere anche che, alla vigilia di importanti e riservatissimi provvedimenti cautelari, i destinatari siano gia' ampiamente informati e mettano in atto adeguate contromisure. E se il metodo funziona, perche' non adottarlo anche in altre Procure, come a Santa Maria Capua Vetere? Torniamo a fine 2007, ai giorni caldi che precedettero le dimissioni di Mastella, il ritiro della fiducia al governo da parte dell'Udeur e la conseguente caduta dell'esecutivo Prodi. «Taluni quotidiani nazionali - osserva De Magistris - hanno riportato fatti dai quali si evincerebbe che lo stesso senatore Mastella o ambienti a lui vicinissimi abbiano contribuito, forse anche con l'ausilio di soggetti ricoprenti posti apicali al Ministero della Giustizia, a far trapelare la notizia degli imminenti arresti da parte della magistratura di Santa Maria Capua Vetere, o che comunque fossero al corrente del fatto e si adoperassero per predisporre una “strategia difensiva”. Del resto resoconti giornalistici informano che il senatore Mastella avesse gia' pronto un “ricco” discorso in Parlamento ed il consuocero (Bruno Camilleri, cui stava per essere notificata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, ndr), la sera prima, si fosse ricoverato in una clinica».
Da Poseidone a Ustica
Come abbiamo visto, l'Echelon del 2000 non e' piu' la creatura misteriosa messa in piedi negli anni della guerra fredda dai pionieri della tecnologia. Oggi le apparecchiature avvolgono in una rete invisibile praticamente tutti i palazzi di giustizia. Ed il controllo e' centralizzato. Ovvio, allora, che se si intende “gestire” questo sistema garantendosi ogni possibilita' di accesso occulto (la parola spionaggio a questo punto perde anche di senso) occorre poter contare su garanti fidati. Persone che, per il loro passato, offrano i massimi requisiti di affidabilita' e riservatezza.
E torniamo a Maurizio Poerio, le cui origini ci conducono lontano nel tempo. Fino a quel 27 giugno del 1980 quando il DC 9 Itavia caduto nei mari di Ustica con 81 persone a bordo avrebbe dovuto mostrare agli occhi del mondo le attivita' di terrorismo internazionale messe in atto dal nemico numero uno degli americani, il leader libico Muammar Gheddafi. Un punto chiave dentro quelle complesse indagini (che ancora oggi attendono una risposta univoca sui mandanti) fu il piccolo aereo libico, un MIG, caduto in quelle stesse ore nel territorio di Villaggio Mancuso, sulla Sila, comune di Castelsilano, al quale l'inchiesta di Rosario Priore dedica alcune centinaia di pagine. Perche' dalla data precisa del suo abbattimento (deducibile anche dai frammenti presenti sul posto) discendeva tutta la ricostruzione dello scenario di guerra in atto quella notte nei cieli d'Italia.
Di particolare rilevanza per le indagini il fatto che quel territorio era assai vicino alla base logistica dell'Itavia e degli F16 militari. Un luogo scottante, dunque. Tanto che anche il capitolo sull'impresa che si aggiudico' i lavori per la raccolta e lo stoccaggio dei frammenti del velivolo libico presenta ancora oggi molti punti oscuri.
A cominciare dal fatto che quella ditta fu chiamata a trattativa privata. Ed era in forte odor di mafia.
Passano alcuni anni. Nel ‘93, nell'ambito del Gruppo Mancuso, nasce la Minerva Airlines. «La societa', di proprieta' di Maurizio Poerio - annotano i cronisti qualche anno piu' tardi - si propone di valorizzare l'aeroporto di Crotone, ridotto ad “aeroprato” dopo essere stato base di Itavia e degli F16 militari».
47 anni, nato a Catanzaro (e verosimilmente imparentato col catanzarese Luigi Poerio, classe 1954, ingegnere edile ed iscritto alla Massoneria), Maurizio Poerio si laurea in economia a Bologna, poi si butta nell'alimentazione del bestiame: torna in Calabria e rileva la Mangimi Sila, piattaforma di lancio per i vertici di Confindustria dove restera' a lungo (al pm De Magistris racconta, fra l'altro, dei suoi rapporti professionali e d'amicizia con l'attuale leader Emma Marcegaglia). Minerva Airlines viene dichiarata fallita dal tribunale di Catanzaro a febbraio 2004. E Poerio andra' a rivestire ruoli sempre piu' apicali nelle principali business company dell'ICT, proiettando al tempo stesso la “sua” CM Sistemi dentro il cuore degli uffici giudiziari italiani.
Da Why Not a via d'Amelio
«Altro che Grande Orecchio nei computer di Giacchino Genchi - dice un esperto in riferimento alle accuse rivolte al principale consulente informatico di De Magistris - la verita' e' che la centrale di ascolto ha oggi i suoi terminali al Ministero, nei Palazzi di Giustizia. E che Genchi tutto questo lo aveva scoperto da tempo».
Il tempo che basta per capire le tante, impressionanti ricorrenze tra fatti e personaggi delle attuali inchieste calabresi ed il contesto di omissioni ed omerta' dentro cui maturarono, nel 1992, la strage di via D'Amelio e le successive, tortuose indagini. Alle quali prese parte proprio Gioacchino Genchi.
E' stato lui ad indicare senza mezzi termini l'allucinante sequenza delle “similitudini”, senza tuttavia fornire ulteriori particolari. E allora proviamo a ricostruirne qualcuno noi.
Cominciando magari dai Gesuiti, da quella Compagnia delle Opere onnipresente nelle inchieste di Catanzaro (basti pensare alla figura centrale di Antonio Saladino) che all'epoca di Falcone e Borsellino era incarnata a Palermo da padre Ennio Pintacuda, fondatore del Cerisdi, il Centro Ricerche e Studi Direzionali con sede in quello stesso Castello Utveggio che sovrasta Palermo. E nel quale aveva una sede di copertura, nel ‘92, anche quell'ufficio riservato del Sisde che avrebbe rivestito una parte rilevantissima nella strage. Fino al punto che - secondo molte accreditate ricostruzioni - il telecomando che innesco' l'autobomba poteva essere posizionato proprio all'interno del castello. Pochi minuti dopo l'eccidio Genchi effettua un sopralluogo proprio sul monte Pellegrino, a Castello Utveggio. Si legge nella sentenza del Borsellino bis: «Il dr. Genchi ha chiarito che l'ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utevggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi».
Oggi il Cerisdi svolge rilevanti attivita' formative su incarico della Pubblica Amministrazione, prime fra tutti la Regione Calabria e la citta' di Palermo. Suo vicepresidente (per il numero uno va avanti da anni la disputa e la poltrona risulta vacante) e' un penalista palermitano, Raffaele Bonsignore, difensore di pezzi da novanta di Cosa Nostra. Ma anche del “giudice ammazzasentenze” Corrado Carnevale.
Co-fondatore del Centro Studi era stato negli anni novanta l'allora presidente dc della Regione Sicilia Rino Nicolosi: se la sua era un'investitura di carattere politico, di tutto rilievo operativo nel Cerisdi risultava invece la figura del suo braccio destro Sandro Musco, che si occupava fra l'altro di rapporti istituzionali e con le imprese. Massone, docente di filosofia, Musco e' oggi tra i principali referenti dell'Udeur in Sicilia.
Mastella, ancora lui. Il suo nome ricorre, non meno di quello del pentito Francesco Campanella, che ritroviamo nelle carte di Why Not. Fu proprio Musco a consegnare nelle mani di Mastella, durante la convention di Telese del 2005, la lettera privata in cui Campanella si gettava ai piedi del leader: «Carissimo Clemente, ti scrivo con il cuore gonfio di tantissime emozioni, esclusivamente per ringraziarti di cuore poiche' nella mia vita ho frequentato tantissima gente e intrattenuto innumerevoli rapporti, tanti evidentemente errati. Sei l'unica persona del mondo politico che ricordo con affetto, con stima, con estremo rispetto, perche' sei sempre stato come un padre per me, e resta in me enorme l'insegnamento della vita politica che mi hai trasmesso. (...) Affido questa lettera a Sandro che tra i tanti e' una persona che nella disgrazia mi e' stata vicina. Sappi che ripongo in lui speranza e fiducia per quello che potra' darti in termini di contributo. È certamente una persona integra di cui potersi fidare».
Il 3 gennaio 2008 Luigi De Magistris chiarisce ai pubblici ministeri salernitani Gabriella Nuzzi e Dionigi Verasani le circostanze in cui compare il nome di Francesco Campanella nell'inchiesta Poseidone: «venni a sapere che poteva essere utile escutere il collaboratore di giustizia Francesco Campanella che ha ricoperto un importante ruolo politico in Sicilia e che risultava essere anche in contatto con esponenti politici di primo piano, in particolare dell'Udc e dell'Udeur. Tale collaboratore mi rilascio' significative dichiarazioni con riguardo al finanziamento del partito dell'Udc e le modalita' con le quali veniva “reinvestito” il denaro, dalla “politica”, in circuiti di apparente legalita'. Dovevo escutere il Campanella, persona affiliata alla massoneria - che si stava ponendo in una posizione di assoluta rilevanza nell'ambito dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra - del quale l'attuale Ministro della Giustizia e' stato testimone di nozze, in quanto aveva rilasciato all'autorita' giudiziaria di Palermo dichiarazioni con riguardo a presunte dazioni di denaro illecite con riferimento alle licenze Umts che vedevano, in qualche modo, coinvolti sia l'attuale Ministro della Giustizia Clemente Mastella che l'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema».
Una circostanza che Mastella, quando era ministro della Giustizia, ha dovuto smentire in aula rispondendo alla domanda di un avvocato. Era Raffaele Bonsignore, vertice del Cerisdi. E difensore dell'imputato di Cosa Nostra Nino Mandala'.
Tratto da: lavocedellevoci.it - 09/04/09 - Rita Pennarola
Etichette:
de magistris,
echelon,
genchi,
poseidone,
why not
domenica 1 febbraio 2009
Gaza: massacro o nani e pummarole? Una risposta a Lorenzo Cremonesi - di Vittorio Arrigoni
Il mio articolo (integrale) pubblicato ieri da Il Manifesto (29/01/09):
"Il sangue che imbrattava il pavimento del pronto soccorso, in realtà non era sangue. Ma pummarola. A' pummarola napuletana", ci dice un pizzicagnolo travestito da medico dell'ospedale Shifah che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita. "Le vittime negli obitori? non sono corpi umani, sono manichini. Andate a controllare nei negozi del centro. Hamas li ha saccheggiati di manichini e ci ha riempito i cimiteri" Ci dice commosso un commesso che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita. "i corpi dei bambini morti? Non erano bambini. Erano dei nani. Degli aguerrittissimi nani da combattimento reclutati dalle brigate Al Qassam" ci dice un beccamorto che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita."Le donne trovate cadaveri sotto le macerie non erano donne, ma mujeaddin di Hamas che avendo saputo preventivamente dell'attacco erano corsi dal barbiere eppoi a farsi un'operazione a Casablanca" ci dice un visagista che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita. "Il fosforo bianco in realtà non era fosforo, odorava di eucalipto e veniva buono per farci delle inalazioni. A me ha curato il raffreddore" ci dice un farmarcista che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita. Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera, ha molto da insegnare alle nuove leve del giornalismo,col suo articolo pubblicato il 21 gennaio, pure troppo. Io che non ho mandanti se non una morbosa ricerca della verità, io che non sono un giornalista prefessionista, non scriverò mai per il corrierone, poco male, mi evito di intrattenere relazioni con redazioni che mi imboccano il pezzo, specie quando il boccone è così indigesto.Per la casacca che indossato durante tutto il massacro, con ricamata non la scritta PRESS ma bensì l'emblema della mezza luna rossa, dico a Cremonesi che le bugie hanno le gambe corte, in questo caso peggio, ce le hanno amputate.Anche io posso benissimo trovare persone disposte a dirmi che è stato hamas e non l'esercito israeliano ha sterminare più di mille palestinesi, e vi assicuro che ve ne sono, specie fra coloro che mangiavano nel piatto ricco dai corrotti di Fatah e ora sono a dieta. Sta ad un serio ricercatore distinguere una fonte attendibile da un attentato all'informazione.Nessuna ambulanza durante questi 3 settimane di tragedia è stata utilizzata da ai miliziani di Hamas e ai loro alleati della Jihad islamica. Ne sono assolutamente certo, perchè sulle ambulanze c'eravamo io e i miei compagni dell'ISM.Su quella ambulanze abbiamo rischiato la pelle, e un nostro amico paramedico, Arafa, ci è rimasto. 14 paramedici sono stati uccisi. I soldati israeliani sparavano alle ambulanze certi di quello che facevano, ovvero uccidere civili. Non abbiamo mai concesso ad un solo membro dell'almukawama, la resistenza palestinese, di salire a bordo di uno dei nostri mezzi. Quelli che ci provavano, venivavano spintonati giù, anche quando (ed è accaduto ) il guerrigliero era il marito di una donna che portavamo di corsa in una clinica a partorire. All'ospedale Al Quds sono tutti di Fatah. lo sanno pure i muri (le pareti infatti sono tapezzate di Arafat. Neanche una icona di Ahmed Yassin), così come allo Shifa. Al Awada di Jabilia invece parteggiano quasi tutti per il Fronte Popolare. E' una impresa trovare personale medico pro-hamas lungo tutta la Striscia, prova è che quando Fatah chiamò allo sciopero generale, incrociarono le braccia l'80% dei dottori. Se la resistenza avesse utilizzato gli ospedali come postazioni per combattere i medici li avrebbero fatti evaucare subito, rifiutandosi immediatamente di curare i feriti. Un atteggiamento come quello descritto da Cremonesi nel suo pezzo equivarrebbe ad un suicidio politico per Hamas, e Hamas non vuole suicidarsi, non ha fretta di andare in paradiso, è un movimento ben radicato sulla terra, che desidera ampliare i suoi consensi, quantomeno non disperderli. Scudi umani? A Tal el Hawa durante il massacro io c'ero, e nella zona abita il mio migliore amico, Abu Nader. Suo padre e i suoi amici in effetti sono stati usati come scudi umani, ma non da hamas, bensì dai soldati israeliani che giravano casa per casa a caccia di combattenti (lo hanno già fatto in passato, è una prassi: http://guerrillaradio.iobloggo.com/archive.php?eid=1524 ).Il conto delle vittime è possibe dimunisca di qualche decina di unità, come è possibile che invece aumenti. Nel raccogliere i dati che puoi riportavo nelle mie corrispondenze da questo inferno non aspettavo certo l'imboccata di hamas, come non accetterai mai l'imboccata di un giornale quando impone che si scriva contro il movimento radicale islamista per porre in secondo piano l'aberrante massacro appena accaduto. Le mie fonti erano le stesse utilizzate dai giornalisti palestinesi e dagli attivisti per i diritti umani locali: fonti ospedaliere indipendenti. Se poi i morti saranno anche cento in meno, non mi metterò a stappare bottiglie di champagne ne derubricherò questo massacro come meno efferato. Al momento ci pensa l'esercito israeliano a smentire Lorenzo Cremonesi: un suo portavoce ha infatti dichiarato al Jerusalem Post che le vittime palestinesi dell'offensiva "Piombo Fuso" su Gaza sono circa 1.300. 5 giornalisti palestinesi sono stati uccisi durante i bombardamenti, diversi i feriti. Distrutta la sede della televisione Al Aqsa, il palazzo al centro di Gaza City che ospita Reuters CNN e Al Jazeera più volte attaccato. Si dice che la verità è la prima a morire durante una guerra.C'è qualcuno in via Solferino che si cimenta nella profanazione del suo cadavere.Restiamo umani. Vik
(PS. un sentito, caldo, palpitante, grazie!, dal mio sanguinante cuore malconcio a tutti coloro che una donato una somma in sostegno ai diritti umani dei palestinesi che coi compagni dell'ISM ci sforziamo di salvaguardare)
Vittorio Arrigoni in Gaza
Blog: http://guerrillaradio.iobloggo.com/
Contatto e donazioni: guerrillaingaza@gmail.com
telefono: 00972(0)59 8378945
siti della missione: http://www.freegaza.org/ e www.palsolidarity.org -->
Evviva!! A Gaza solo 600 morti anziché 1.300
Grazie sig. Cremonesi.
Grazie per averci fatto esultare sul fatto che le vittime del genocidio commesso a Gaza è stato solo di 600 invece delle 1.300 insinuate.
Grazie per averci regalato pagine del milgior giornalismo e di aver pubblicato notizie che nessuno ha avuto il coraggio di far sapere.
Ma vorrei soffermarmi esclusivamente sul numero presunto di vittime, il resto si commenta da solo.
Bene sig. Cremonesi, le faccio presente che il numero di vittime, in alcuni conflitti, ha avuto un rapporto tra le parti in guerra superiore di 1 a 3 soltanto in un caso: il Vietnam.
In quell'occasione il rapporto fu 1 a 25 con 58.200 morti tra le truppe americane e circa 1.500.000 tra quelle vietnamite (fonte wikipedia).
In altri conflitti si sono misurati morti:
2° Guerra Mondiale: Alleati 6.500.000 - Asse 10.600.000 (fonte wikipedis ed approssimativo e senza Russia e Cina); rapporto 1,6;
Guerra Russo cecena: Russia 4.200 - Cecenia 13.500 (fonte corriere della sera 23/07/02); rapporto 3,2;
Guerra dei Balcani: Serbi 2.400 - Bosniaci 6.300 (fonte articolo21.info); rapporto 2,6.
Ora, sig. Cremonesi, se vogliamo ridurre il numero dei morti ammazzati a Gaza ad un risultato sportivo, secondo le sue cifre, avremmo:
Israele 4 - Gaza 600; rapporto 150.
Sa, sig. Cremonesi, cosa significano queste cifre? GENOCIDIO!!
Ha fatto due conti Sig. Cremonesi?
Se ci fossero state le stesse percentuali in Vietnam i morti "gialli" sarebbero stati 225.000.000.
Nella seconda guerra mondiale, per i 6.500.000 di morti inglesi, americani, francesi, ci sarebbero stati 1.590.000.000 morti tedeschi e giapponesi. Bisognava riutilizzare le divise dei cadaveri almeno una decina di volte per trovare un numero adeguato di crucchi e kamikaze!
In Cecenia con le stesse percentuali ci sarebbero stati 2.025.000 di ribelli morti.
Nei balcani sarebbero stati 945.000 bosniaci.
Una guerra è una guerra quando si fronteggiano due eserciti.
Ma quando in un conflitto ci sono 4 morti da una parte, di cui 3 da "fuoco amico", e 600 o 1.300 dall'altra, emerge il fatto che non si stia combattendo una guerra: si sta commettendo un crimine senza che una delle parti possa difendersi.
E non c'è mai ragione di combattere una guerra.
E neppure lanciare missili.
Figuriamoci se si sentiva la necessità di fare una guerra dei numeri.
Augusto Tiberio Druso Massimo
Grazie per averci fatto esultare sul fatto che le vittime del genocidio commesso a Gaza è stato solo di 600 invece delle 1.300 insinuate.
Grazie per averci regalato pagine del milgior giornalismo e di aver pubblicato notizie che nessuno ha avuto il coraggio di far sapere.
Ma vorrei soffermarmi esclusivamente sul numero presunto di vittime, il resto si commenta da solo.
Bene sig. Cremonesi, le faccio presente che il numero di vittime, in alcuni conflitti, ha avuto un rapporto tra le parti in guerra superiore di 1 a 3 soltanto in un caso: il Vietnam.
In quell'occasione il rapporto fu 1 a 25 con 58.200 morti tra le truppe americane e circa 1.500.000 tra quelle vietnamite (fonte wikipedia).
In altri conflitti si sono misurati morti:
2° Guerra Mondiale: Alleati 6.500.000 - Asse 10.600.000 (fonte wikipedis ed approssimativo e senza Russia e Cina); rapporto 1,6;
Guerra Russo cecena: Russia 4.200 - Cecenia 13.500 (fonte corriere della sera 23/07/02); rapporto 3,2;
Guerra dei Balcani: Serbi 2.400 - Bosniaci 6.300 (fonte articolo21.info); rapporto 2,6.
Ora, sig. Cremonesi, se vogliamo ridurre il numero dei morti ammazzati a Gaza ad un risultato sportivo, secondo le sue cifre, avremmo:
Israele 4 - Gaza 600; rapporto 150.
Sa, sig. Cremonesi, cosa significano queste cifre? GENOCIDIO!!
Ha fatto due conti Sig. Cremonesi?
Se ci fossero state le stesse percentuali in Vietnam i morti "gialli" sarebbero stati 225.000.000.
Nella seconda guerra mondiale, per i 6.500.000 di morti inglesi, americani, francesi, ci sarebbero stati 1.590.000.000 morti tedeschi e giapponesi. Bisognava riutilizzare le divise dei cadaveri almeno una decina di volte per trovare un numero adeguato di crucchi e kamikaze!
In Cecenia con le stesse percentuali ci sarebbero stati 2.025.000 di ribelli morti.
Nei balcani sarebbero stati 945.000 bosniaci.
Una guerra è una guerra quando si fronteggiano due eserciti.
Ma quando in un conflitto ci sono 4 morti da una parte, di cui 3 da "fuoco amico", e 600 o 1.300 dall'altra, emerge il fatto che non si stia combattendo una guerra: si sta commettendo un crimine senza che una delle parti possa difendersi.
E non c'è mai ragione di combattere una guerra.
E neppure lanciare missili.
Figuriamoci se si sentiva la necessità di fare una guerra dei numeri.
Augusto Tiberio Druso Massimo
Etichette:
Gaza,
guerre,
israele,
lorenzo cremonesi,
morti
Iscriviti a:
Post (Atom)