martedì 16 settembre 2008

Cattive compagnie (di bandiera) - di Marco Travaglio

S’è cacciata in un bel guaio, Emma Marcegaglia, nell’ansia di portare la sua razioncina d’oro alla Patria. Cioè il suo oboletto all’AliSilvio. Strapazzata perfino dal giornale della sua Confindustria per la penna dell’economista liberale Alberto Alesina, concorre col penultimo predecessore Antonio D’Amato al record di servilismo filogovernativo in viale dell’Astronomia. Quando parlerà di libero mercato, qualcuno le ricorderà che è entrata in una compagnia aerea nata dalla sospensione delle regole antitrust con modifica ad hoc di tre leggi. Quando esalterà il rischio d’impresa, qualcuno le rammenterà che il governo le ha consegnato la nuova Alitalia ripulita da debiti ed esuberi (a carico dei contribuenti). Quando siederà a trattare col governo per conto degli imprenditori, qualunque posizione assuma, sarà sospettata di averla assunta per ripagare il governo della grazia ricevuta. Quando un socio di Confindustria rischierà il crac, la Emma dovrà spiegargli come mai la sua impresa deve fallire, mentre Alitalia no. Solo pochi mesi fa, sotto Luca di Montezemolo, l’associazione degli industriali aveva mollato alla classe politica uno schiaffo morale, cominciando a espellere i soci che pagano il pizzo anziché denunciare il racket mafioso. Ora quel patrimonio di legalità, nonostante gli sforzi del presidente siciliano Ivan Lo Bello, va rapidamente evaporando. Questione di coerenza. Il gruppo Marcegaglia, pochi mesi fa, ha patteggiato per corruzione al Tribunale di Milano a proposito di una tangente pagata nel 2003 a un manager dell’Enipower in cambio di un appalto: pena pecuniaria 500 mila euro e 250 mila di confisca alla Marcegaglia Spa, pena pecuniaria di 500 mila euro e 5 milioni di confisca alla controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione patteggiati dal vicepresidente Antonio Marcegaglia (fratello di Emma). Il padre Steno, invece, è stato condannato dal Tribunale di Brescia a 4 anni per la bancarotta Italcase-Bagaglino. Nello stesso processo di primo grado, sono stati condannati Roberto Colaninno (anche lui a 4 anni) e il banchiere Cesare Geronzi. E, guarda un po’, Colaninno è il nuovo presidente della nuova Alitalia, mentre Geronzi è indicato fra i grandi sponsor dell’operazione. Ma la cordata è impreziosita anche da un altro condannato in primo grado, il costruttore Marcellino Gavio (già arrestato nel ’93 per Tangentopoli, dopo mesi di latitanza all’estero, s’è appena buscato 6 mesi per violazione di segreto investigativo) e dal pregiudicato Salvatore Ligresti (2 anni e mezzo definitivi per Tangentopoli). Ora, espellere chi non denuncia il racket mafioso è un’ottima idea. Ma chi paga il pizzo in Sicilia, di solito, ha la lupara alla tempia. Chi paga mazzette in Lombardia no. Con che faccia la Confindustria caccia chi subisce il racket (e per la legge è vittima di un reato) e non chi sgancia tangenti (e per la legge è colpevole di un reato)? Sarebbe come se il ministro Gelmini denunciasse le promozioni facili al Sud e poi volasse a Reggio Calabria per dare l’esame da avvocato. Per dire.

Marco Travaglio - 14/09/08 - http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

Nessun commento: