sabato 31 maggio 2008

Soluzione alla xenofobia canina veneta - by Livio Androzio

L'unico sindaco al mondo con la testa a biscotto! Nella versione Oswego è irresistibile. In suo onore stasera ho fatto l'analisi completa della provenienza di tutti gli acari che giacciono sul mio cuscino. Ahimè, ben 24 alla trentaduesima ( su un totale di 69 alla ottantaseiesima ) non sono autoctoni ma provengono dal cuscino di mia moglie. La cosa m'ha fatto perdere il sonno: organizzo una squadra di sceriffi-afidi per dare la caccia agli intrusi o varo un condono di proporzioni gigantesche per regolarizzarli tutti quanti?

venerdì 30 maggio 2008

Risultato sondaggio "Siete favorevoli alla costruzione di centrali nucleari?"


La xenofobia veneta fa il salto della specie! No ai cani stranieri!!

"Noi non vogliamo razze di cani stranieri". E' l'ultima sparata del vicesindaco di Treviso Giancarlo Gentilini. Parlando in occasione della presentazione delle unità cinofile del Corpo Forestale, in piazza dei Signori, lo Sceriffo anti-immigrati stavolta se l'è presa con il meticciato dei nostri amici a quattro zampe: ok al lupo italiano, una razza nata alla fine degli anni Sessanta, al bando pechinesi, chihuahua, labrador, husky e tutto quanto suoni "esotico". Anche se si chiama Fido e non Mohamed.In piazza dei Signori era in corso un'esibizione del Corpo forestale che presentava le unità cinofile per il recupero di animali di specie estinte. Si tratta di cani di una razza chiamata "lupo italiano", creata negli anni Sessanta. Cani che piacciono a Gentilini: "Questi sì che vanno bene, sono gli animali dei nostri progenitori. Dobbiamo dire no, invece - ha proseguito il vicesindaco di Treviso - a quei cani stranieri che non sono rispettosi dell'ecoflora nostrana e del nostro ambiente".Gentilini non è nuovo a sparate contro gli stranieri, in particolare gli immigrati islamici. Ma è la prima volta in assoluto che se la prende con i cani "meticci" o di razze estere, anche se in passato era già stato protagonista di una memorabile battaglia contro le cacche dei quattro zampe.

(29 maggio 2008 - http://www.repubblica.it/)

Roberto Saviano - Intervista di Enzo Biagi - parte 1

Roberto Saviano - Intervista di Enzo Biagi - parte 2

venerdì 23 maggio 2008

C'è chi dice che la Storia ha un andamento circolare.... By Luigi

Berlino, 1932

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Bertold Brecht

La scomparsa dei fatti - Violante al Parlamento nel 2003

La scomparsa dei fatti - Censura ‘legale’ - Paolo Barnard – 11 febbraio 2008 (www.disinformazione.it)

Cari amici e amiche impegnati a dare una pennellata di decenza al nostro Paese, eccovi una forma di censura nell'informazione di cui non si parla mai. E' la peggiore, poiché non proviene frontalmente dal Sistema, ma prende il giornalista alle spalle. Il risultato è che, avvolti dal silenzio e privi dell'appoggio dell'indignazione pubblica, non ci si può difendere. Questa censura sta di fatto paralizzando l'opera di denuncia dei misfatti sia italiani che internazionali da parte di tanti giornalisti 'fuori dal coro'. Si tratta, in sintesi, dell'abbandono in cui i nostri editori spesso ci gettano al primo insorgere di contenziosi legali derivanti delle nostre inchieste 'scomode'. Come funziona e quanto sia pericoloso questo fenomeno per la libertà d'informazione ve lo illustro citando il mio caso. Si tratta di un fenomeno dalle ampie e gravissime implicazioni per la società civile italiana, per cui vi prego di leggere fino in fondo il breve racconto.

Per la trasmissione Report di Milena Gabanelli, cui ho lavorato dando tutto me stesso fin dal primo minuto della sua messa in onda nel 1994, feci fra le altre un'inchiesta contro la criminosa pratica del comparaggio farmaceutico, trasmessa l'11/10/2001 ("Little Pharma & Big Pharma"). Col comparaggio (reato da art.170 leggi pubblica sicurezza) alcune case farmaceutiche tentano di corrompere i medici con regali e congressi di lusso in posti esotici per ottenere maggiori prescrizioni dei loro farmaci, e questo avviene ovviamente con gravissime ripercussioni sulla comunità (il prof. Silvio Garattini ha dichiarato: "Dal 30 al 50% di medicine prescritte non necessarie") e spesso anche sulla nostra salute (uno dei tanti esempi è il farmaco Vioxx, prescritto a man bassa e a cui sono stati attribuiti da 35 a 55.000 morti nei soli USA).

L'inchiesta fu giudicata talmente essenziale per il pubblico interesse che la RAI la replicò il 15/2/2003. Per quella inchiesta io, la RAI e Milena Gabanelli fummo citati in giudizio il 16/11/2004(1) da un informatore farmaceutico che si ritenne danneggiato dalle rivelazioni da noi fatte. Il lavoro era stato accuratamente visionato da uno dei più alti avvocati della RAI prima della messa in onda, il quale aveva dato il suo pieno benestare. Ok, siamo nei guai e trascinati in tribunale. Per 10 anni Milena Gabanelli mi aveva assicurato che in questi casi io (come gli altri redattori) sarei stato difeso dalla RAI, e dunque di non preoccuparmi(2). La natura dirompente delle nostre inchieste giustificava la mia preoccupazione. Mi fidai, e per anni non mi risparmiai nei rischi.

All'atto di citazione in giudizio, la RAI e Milena Gabanelli mi abbandonano al mio destino. Non sarò affatto difeso, mi dovrò arrangiare. La Gabanelli sarà invece ampiamente difesa da uno degli studi legali più prestigiosi di Roma, lo stesso che difende la RAI in questa controversia legale.(3) Ma non solo. La linea difensiva dell'azienda di viale Mazzini e di Milena Gabanelli sarà di chiedere ai giudici di imputare a me, e solo a me (sic), ogni eventuale misfatto, e perciò ogni eventuale risarcimento in caso di sentenza avversa.(4) E questo per un'inchiesta di pubblico interesse da loro (RAI-Gabanelli) voluta, approvata, trasmessa e replicata.*

*( la RAI può tecnicamente fare questo in virtù di una clausola contenuta nei contratti che noi collaboratori siamo costretti a firmare per poter lavorare, la clausola cosiddetta di manleva(5), dove è sancita la sollevazione dell'editore da qualsiasi responsabilità legale che gli possa venir contestata a causa di un nostro lavoro. Noi giornalisti non abbiamo scelta, dobbiamo firmarla pena la perdita del lavoro commissionatoci, ma come ho già detto l'accordo con Milena Gabanelli era moralmente ben altro, né è moralmente giustificabile l'operato della RAI in questi casi).

Sono sconcertato. Ma come? Lavoro per RAI e Report per 10 anni, sono anima e corpo con l'impresa della Gabanelli, faccio in questo caso un'inchiesta che la RAI stessa esibisce come esemplare, e ora nel momento del bisogno mi voltano le spalle con assoluta indifferenza. E non solo: lavorano compatti contro di me. La prospettiva di dover sostenere spese legali per anni, e se condannato di dover pagare cifre a quattro o cinque zeri in risarcimenti, mi è angosciante, poiché non sono facoltoso e rischio perdite che non mi posso permettere.

Ma al peggio non c'è limite. Il 18 ottobre 2005 ricevo una raccomandata. La apro. E' un atto di costituzione in mora della RAI contro di me. Significa che la RAI si rifarà su di me nel caso perdessimo la causa. Recita il testo: "La presente pertanto vale come formale costituzione in mora del dott. Paolo Barnard per tutto quanto la RAI s.p.a. dovesse pagare in conseguenza dell'eventuale accoglimento della domanda posta dal dott. Xxxx (colui che ci citò in giudizio, nda) nei confronti della RAI medesima".(6) Nel leggere quella raccomandata provai un dolore denso, nell'incredulità. Interpello Milena Gabanelli, che si dichiara estranea alla cosa. La sollecito a intervenire presso la RAI , e magari anche pubblicamente, contro questa vicenda. Dopo poche settimane e messa di fronte all'evidenza, la Gabanelli tenta di rassicurarmi dicendo che "la rivalsa che ti era stata fatta (dalla RAI contro di me, nda) è stata lasciata morire in giudizio... è una lettera extragiudiziale dovuta, ma che sarà lasciata morire nel giudizio in corso... Finirà tutto in nulla."(7)

Non sarà così, e non è così oggi: giuridicamente parlando, quell'atto di costituzione in mora è ancora valido, eccome. Non solo, Milena Gabanelli non ha mai preso posizione pubblicamente contro quell'atto, né si è mai dissociata dalla linea di difesa della RAI che è interamente contro di me, come sopra descritto, e come dimostrano gli ultimi atti del processo in corso.(8) Non mi dilungo. All'epoca di questi fatti avevo appena lasciato Report, da allora ho lasciato anche la RAI. Non ci sarà mai più un'inchiesta da me firmata sull'emittente di Stato, e non mi fido più di alcun editore. Non mi posso permette di perdere l'unica casa che posseggo o di vedere il mio incerto reddito di freelance decimato dalle spese legali, poiché abbandonato a me stesso da coloro che si fregiavano delle mie inchieste 'coraggiose'. Questa non è una mia mancanza di coraggio, è realismo e senso di responsabilità nei confronti soprattutto dei miei cari.

Così la mia voce d'inchiesta è stata messa a tacere. E qui vengo al punto cruciale: siamo già in tanti colleghi abbandonati e zittiti in questo modo. Ecco come funziona la vera "scomparsa dei fatti", quella che voi non conoscete, oggi diffusissima, quella dove per mettere a tacere si usano, invece degli 'editti bulgari', i tribunali in una collusione di fatto con i comportamenti di coloro di cui ti fidavi; comportamenti tecnicamente ineccepibili, ma moralmente assai meno.

Questa è censura contro la tenacia e il coraggio dei pochi giornalisti ancora disposti a dire il vero, operata da parte di chiunque venga colto nel malaffare, attuata da costoro per mezzo delle minacce legali e di fatto permessa dal comportamento degli editori.Gli editori devono difendere i loro giornalisti che rischiano per il pubblico interesse, e devono impegnarsi a togliere le clausole di manleva dai contratti che, lo ribadisco, siamo obbligati a firmare per poter lavorare. Infatti oggi in Italia sono gli avvocati dei gaglioffi, e gli uffici affari legali dei media, che di fatto decidono quello che voi verrete a sapere, giocando sulla giusta paura di tanti giornalisti che rischiano di rovinare le proprie famiglie se raccontano la verità. Questo bavaglio ha e avrà sempre più un potere paralizzante sulla denuncia dei misfatti italiani a mezzo stampa o tv, di molto superiore a quello di qualsiasi politico o servo del Sistema.

Posso solo chiedervi di diffondere con tutta l'energia possibile questa realtà, via mailing lists, siti, blogs, parlandone. Ma ancor più accorato è il mio appello affinché voi non la sottovalutiate. In ultimo. E' assai probabile che verrò querelato dalla RAI e dalla signora Gabanelli per questo mio grido d'allarme, e ciò non sarà piacevole per me. Hanno imbavagliato la mia libertà professionale, ma non imbavaglieranno mai la mia coscienza, perché quello che sto facendo in queste righe è dire la verità per il bene di tutti. Spero solo che serva.

Grazie di avermi letto.
Paolo Barnard
pbarnard@libero.it

Note:
1) Tribunale civile di Roma, Atto di citazione, 31095, Roma 10/11/2004.
2) Fatto su cui ho più di un testimone pronto a confermarlo.
3) Nel volume "Le inchieste di Report" (Rizzoli BUR, 2006) Milena Gabanelli eroicamente afferma: "...alle nostre spalle non c'è un'azienda che ci tuteli dalle cause civili". Prendo atto che il prestigioso studio legale del Prof. Avv. Andrea Di Porto, Ordinario nell'Università di Roma La Sapienza , difende in questo dibattimento sia la RAI che Milena Gabanelli. Ma non me.
4) Tribunale Ordinario di Roma, Sezione I Civile-G.U. dott. Rizzo- R.G.N. 83757/2004, Roma 30/6/2005: "Per tutto quanto argomentato la RAi-Radiotelevisione Italiana S.p.a. e la dott.ssa Milena Gabanelli chiedono che l'Illustrissimo Tribunale adìto voglia:...porre a carico del dott. Paolo Barnard ogni conseguenza risarcitoria...".
5) Un esempio di questa clausola tratto da un mio contratto con la RAI : "Lei in qualità di avente diritto... esonera la RAI da ogni responsabilità al riguardo obbligandosi altresì a tenerci indenni da tutti gli oneri di qualsivoglia natura a noi eventualmente derivanti in ragione del presente accordo, con particolare riferimento a quelli di natura legale o giudiziaria".
6) Raccomandata AR n. 12737143222-9, atto di costituzione in mora dallo Studio Legale Di Porto per conto della RAI contro Paolo Barnard, Roma, 3/10/2005.
7) Email da Milena Gabanelli a Paolo Barnard, 15/11/2005, 09:39:188) Tribunale Civile di Roma, Sezione Prima, Sentenza 10784 n. 5876 Cronologico, 18/5/2007: "la parte convenuta RAI-Gabanelli insisteva anche nelle richieste di cui alle note del 30/6/2005...". (si veda nota 4)

La scomparsa dei fatti - di Milena Gabanelli - da www.forum.rai.it

Ogni azienda, giornale o tv fornisce l'assistenza legale (ovvero paga l'avvocato) ai propri dipendenti, non ai collaboratori. Quando abbiamo iniziato (1997)nessuno di noi si era posto il problema, che invece abbiamo affrontato quando sono arrivate le prime cause (2000). Si trattava di querele per diffamazione. La sottoscritta e il direttore di allora chiedemmo assistenza legale e ci fu concessa. Fatto che si verificò in tutti i successivi procedimenti penali. Le prime cause civili arrivarono nel 2004, e lì scoprimmo che invece non ci sarebbe stata copertura legale. La tutela veniva fornita a me in virtù del contratto di collaborazione con la rai, ma "a discrezione", ovvero dovevo presentare una memoria difensiva con la quale dimostravo, punto per punto, di aver agito bene.
Non avendo l'autore del servizio nessun contratto di collaborazione con la rai (pochè vende il pezzo), si assume i rischi in caso di richiesta di risarcimento danni. La realtà era questa: o prendere, o lasciare. Gli autori furono messi a conoscenza della questione e tutti decisero di continuare "l'avventura" con Report. Con tutte le angoscie del caso, ma a dominare è stata la convinzione di tutti noi che lavorando bene alla fine le cause si vincono e il soccombente dovrà pure pagare le spese. Da parte mia ho iniziato una lunga battaglia per poter avere ciò che nessuna azienda normalmente fornisce ai non dipendenti: l'assistenza di un avvocato in caso di causa civile (nel penale, come ho già detto, ci è stata fornita fin dall'inizio). Dal 2004 in poi la tendenza è stata quella di farci prevalentemente cause civili, con tutto quel che ne consegue in termini di stress, tempo che perdi, e paure che ti assalgono.
E' bene sapere che quando si va in giudizio ognuno risponde per la parte che gli compete: gli autori rispondono del loro pezzo, la sottoscritta per tutti i pezzi (in qualità di responsabile del programma), la rai in quanto network che diffonde la messa in onda. Qualora il giudice dovesse stabilire che c'è stato dolo da parte dell'autore, a pagare saranno tutti i soggetti coinvolti (la rai, la sottoscritta, l'autore). E questo vale per tutti, anche i dipendenti. La differenza è che prima di arrivare alla sentenza nessuno ti paga l'avvocato. Nel 2007 le cause arrivano ad un numero talmente elevato che passo più tempo a difendere me e i miei colleghi che non a lavorare. Ma a luglio 2007 il direttore generale Cappon chiede all'ufficio legale della rai di garantire la piena assistenza legale a tutti gli autori di Report. Questo non ci toglie le ansie (finchè non c'è una sentenza non sai di che morte muori), però almeno sai che alle tue spalle c'è un'azienda che ha riconosciuto il valore del tuo lavoro e ti paga l'avvocato. E' stato difficile ottenere questo risultato, ma c'è stato e questo è oggi quello che conta.
Certo, se su ogni puntata vieni trascinato in tribunale, alla fine può darsi che lasci la partita perchè non riesci più a reggere fisicamente. Ma questo non è colpa della rai di turno, bensì di un sistema giudiziario che permette a chiunque di fare cause pretestuose, senza che ci sia a monte un filtro (come avviene invece nelle cause penali) che valuti l'eventuale inconsistenza della causa stessa.
Paolo Barnard. E' un professionista che stimo molto, ma purtroppo l'incompatibilità ad un certo punto era diventata ingestibile, e così a fine 2003 le strade si sono separate. Per quel che riguarda la questione legale che lo coinvolge, sono convinta della bontà della sua inchiesta e penso che alla fine ci sarà una sentenza favorevole. Ci credo al punto tale da aver firmato a suo tempo un atto (che lui possiede e pure il suo avvocato) nel quale mi impegno a pagare di tasca mia anche la parte sua in caso di soccombenza. Non saprei che altro fare.
Non ho il potere di cambiare le regole di un'azienda come la Rai, credo di aver fatto tutto quello che è nelle mie modeste capacità. Il lavoro che io e gli altri colleghi di report abbiamo deciso fin qui di fare non ce lo ha imposto nessuno. E' un mestiere complesso che comporta molti rischi, anche sul piano personale. Si può decidere di correrli oppure no, dipende dalla capcità di tenuta, dal carattere e dagli obiettivi che ognuno di noi si da nella vita. Il resto sono polemiche che non portano da nessuna parte e sottragono inutilmente energie.
Un caro saluto a tutti.

La scomparsa dei fatti - Barnard/Report (tratto da www.tvblog.it)

[...] Nella contro replica fornita a stretto giro, sempre attraverso il forum della trasmissione, da Barnard il giornalista formula altre accuse, ma soprattutto definisce “esistente solo nella fantasia della Signora Gabanelli” la fantomatica lettera nella quale ella si assumerebbe l’onere di pagare personalmente l’eventuale risarcimento.

Insomma, a questo punto diventa difficile capire da che parte stia la ragione fra i due soggetti che si contrappongono ritenendo di possedere entrambi la “verità dei fatti”. In ogni caso cercheremo di tenervi informati sui futuri ed eventuali sviluppi del caso Bernard-Report.

Quello che resta è l’osservazione di carattere generale sullo stato del “giornalismo d’inchiesta” nel nostro paese.

Il quadro, con gli autori freelance delle inchieste più “scomode” che nella prassi vengono lasciati soli dai propri editori (la Rai nello specifico) di fronte alla forma d’intimidazione classica del procedimento civile, è semplicemente avvilente. Si spiega facilmente il perchè tanti giornalisti preferiscano molto spesso evitare i “terreni minati”, spacciando come informazione di qualità la semplice e noiosa cronaca politica o la ricostruzione morbosa ed ossessiva dei fatti di sangue.

La scomparsa dei fatti by Augusto Tiberio Druso

Il testo seguente è tratto da un brano del libro di Marco Travaglio "La scomparsa dei fatti".

La notizia senza nome


Il 27 novembre 2005 l'Usigrai, il primo sindacato dei giornalisti RAI, dirama un comunicato del suo segretario Roberto Natale:

Le informazioni sul processo romano a Cesare Previti, che oggi i lettori del Corriere della Sera hanno trovato a pagina 18, erano in possesso, nelle stesse modalità, del titolare milanese della cronaca giudiziaria della RAI, Carlo Casoli. La notizia è rimasta però nella sua penna: nessuna delle quattro testate nazionali (i tre tg e il Giornale radio) ha voluto ieri mandare in onda il servizio o dare la semplice informazione. E poiché le vicende serie hanno talvolta un aspetto comico, Casoli si è anche sentito fare, da una delle quattro testate, una proposta singolare: "Mandaci pure il servizio, ma per cortesia non fare nomi". Evidentemente la preoccupazione di offrire un nuovo fianco a critiche già roventi è più forte dei doveri di correttezza dell'informazione. Questa la situazione della RAI di oggi, che il Presidente del Consiglio ama invece immaginare impegnata nella militanza antiberlusconiana.

Chi pensasse a uno scherzo o a una leggenda metropolitana trattenga pure le risate. E' tutto vero, come ho potuto verificare parlando con il collega Carlo Casoli. Ricapitolando, è accaduto questo.Il 20 novembre 2005 Casoli scopre che la procura di Roma [...] ha chiesto il rinvio a giudizio di Cesare Previti per corruzione giudiziaria: diversamente dall'oggetto dei processi di Milano SME-Ariosto e IMI Sir-Mondadori, questa volta l'avvocato-deputato-imputato berlusconiano non è accusato di aver corrotto magistrati, ma un perito del Tribunale capitolino, Angelo Musco, colui che quantificò in circa 1.000 miliardi di lire il risarcimento (che poi risulterà non dovuto e frutto di sentenze comprate) a cui doveva essere condannata la banca pubblica IMI nei confronti del gruppo Sir del petroliere andreottian-previtiano Nino Rovelli.Tutto contento per lo scoop, Casoli avverte le direzioni delle quattro testate giornalistiche RAI - Tg1, Tg2, Tg3 e Giornale radio - per prenotare lo spazio necessario al servizio. Ma la risposta, unanime, è che il servizio se lo può scordare e il suo scoop lo può raccontare ai parenti stretti. [...] Meglio lasciare che lo scoprano i giornali e poi, eventualmente, copiarla da lì. Ma Casoli, giornalista coscienzioso che non ha perso l'amore per il suo lavoro, insiste. E alla fine, dopo lunghe trattative, ottiene il via libera da uno dei quattro notiziari (né lui né l'Usigrai preciseranno quale). Ma ad una condizione: che non faccia i nomi dei protagonisti della vicenda. Sulle prime pensa anche lui ad uno scherzo. Come si fa a raccontare che Previti è imputato a Roma di corruzione dal perito Musco per la causa Imi-Rovelli insieme a Pacifico e Acampora, senza nominare Previti, Roma, Musco, Pacifico, Acampora, Imi e Rovelli? Il giornalista chiede al suo superiore se ha capito bene. Quello conferma: "Hai capito bene, niente nomi". A quel punto Casoli si mette al lavoro, nel tentativo disperato di confezionare la prima notizia senza nomi del giornalismo mondiale. Ma alla fine si arrende e comunica a chi di dovere che, senza nomi, non si capirebbe niente e dunque, a malincuore, si vede costretto a rinunciare. Così nessun telespettatore verrà mai a sapere quella notiziola da niente, salvo i fortunati lettori del Corriere della Sera, che la scopre e la pubblica alcuni giorni più tardi.E' un vero peccato che Casoli abbia gettato la spugna, perché il servizio senza nomi avrebbe fatto il giro del mondo e sarebbe stato studiato in tutte le scuole di giornalismo dell'orbe terracqueo. Proviamo ad immaginarne il testo (quanto alle immagini, non potendo mostrare il volto indimenticabile di Previti , si sarebbe dovuto ricorrere a filmati di repertorio, magari degli archivi di Piero Angela: branchi di stambecchi saltellanti sul Gran Paradiso o un leggiadro tramonto sul Bosforo).

"Buonasera. Oggi la Procura di una nota capitale europea, che non citiamo per mantenere la suspense, ha chiesto il rinvio a giudizio di un noto parlamentare di una repubblica che si affaccia sul Mediterraneo (e che non nominiamo per la legge sulla privacy). L'uomo, di professione avvocato, già ministro della Difesa, membro di un importante partito (che non nominiamo per rispetto del pubblico più impressionabile) e braccio destro del capo del governo uscito a sua volta da vari processi per amnistia, attenuanti generiche, prescrizioni o depenalizzazioni dei suoi reati varate da lui medesimo, è accusato di aver corrotto un perito di Tribunale (il cui nome non citiamo per non offendere il comune senso del pudore) affinché liquidasse un megarisarcimento pubblico non dovuto alla società di un petroliere (il cui nome taciamo per rispetto dei minori all'ascolto). Grazie per la cortese attenzione e a voi tutti buonasera."

1974 - Il Mondiale!

La scomparsa dei fatti ... recuperati da Livio Androzio



Dossier tratto dall'Espresso di Agosto 2002 dopo le polemiche per l'intevento di Marco Travaglio alla trasmissione "Che Tempo che fa".

Capigruppo d'assalto: Una vita da Schifani,società con presunti uomini d'onore e usurai. Consulenze ricevute dai Comuni in odore di mafia. E poi l'ascesa ai vertici di Forza Italia. Berlusconi? «Per me è come Cavour»

di Franco Giustolisi e Marco Lillo


Quando, dopo una settimana di nottate, blitz e tranelli ha portato a casa l'approvazione della legge sul legittimo sospetto, Renato Schifani ha sottolineato con il consueto senso delle istituzioni la sua vittoria sull'Ulivo: «Li abbiamo fregati». Il capo dei senatori forzisti è fatto così. «È la mia chiarezza che dà fastidio alla sinistra», ha detto a un settimanale che gli ha dedicato un editoriale lodando «lo stile Schifani». Questo avvocato di 52 anni, nonostante il riporto e gli occhiali da archivista, è l'uomo prescelto da Silvio Berlusconi come volto ufficiale di Forza Italia. E lui lo ripaga come può. In un articolo sul "Giornale di Sicilia" dal titolo "Cavour e il conflitto di interessi" afferma che anche lo statista piemontese era «in potenziale macroscopico conflitto di interessi perché aveva il giornale "Il Risorgimento", partecipazioni bancarie, grandi proprietà terriere e un'intensa attività affaristica». Proprio come Berlusconi, insomma, eppure nessuno gli disse nulla. Peccato che, come scrive Rosario Romeo a pagina 451 della sua biografia, Cavour appena diventò ministro «decise in primo luogo di liquidare gli affari nei quali era stato attivo fino ad allora». Ma Schifani per amore del capo è disposto a sfidare anche il ridicolo. Come quando si fa riprendere in tv accanto al santino del leader neanche fosse Padre Pio. Avvocato civilista e amministrativista, 52 anni, sposato e padre di due figli, amante delle isole Egadi, è stato eletto nel collegio di Corleone, cuore di quella Sicilia che ha dato il cento per cento degli eletti a Forza Italia. Per descrivere l'eroe del legittimo sospetto, l'uomo che ha scavato nottetempo la via di fuga dal processo milanese per Berlusconi e Previti, si potrebbe partire dalle sue radici democristiane. Ma applicando alla lettera il suo credo, «non bisogna usare il politichese ma parlare con serenità il linguaggio dell'uomo comune», sarà meglio partire da una constatazione: il capo dei senatori di Forza Italia è stato socio di affari (leciti) con presunti usurai e mafiosi.
Sua eccellenza Filippo Mancuso, solitamente bene informato, ha definito così il suo ex compagno di partito: «Un avvocato del foro di Palermo specializzato in recupero crediti». Schifani gli ha risposto con una lettera in cui difende la sua «onesta e onorata carriera» e nega di avere mai svolto una simile attività. Negli archivi della Camera di commercio di Palermo risulta però una società, oggi inattiva, costituita nel 1992 da Schifani con Antonio Mengano e Antonino Garofalo: la Gms. L'avvocato Antonino Garofalo (socio accomandante come Schifani) è stato arrestato nel 1997 e poi rinviato a giudizio per usura ed estorsione nell'ambito di indagini condotte dal sostituto Gaetano Paci della Procura di Palermo. L'ex socio di Schifani è ritenuto il capo di un'organizzazione che prestava denaro nella zona di Caccamo chiedendo interessi del 240 per cento. Schifani non è stato coinvolto nelle indagini ma certo non deve essere piacevole scoprire di essere stato socio con un presunto usuraio in un'impresa che come oggetto sociale non disdegnava: «L'attività esattoriale per conto terzi di recupero crediti e l'attività di assistenza nell'istruttoria delle pratiche di finanziamento...».
Schifani è stato sempre sfortunato nella scelta dei compagni delle sue imprese. In un rapporto dei carabinieri del nucleo di Palermo, di cui "L'Espresso" è in grado di rivelare i contenuti, si ricostruisce la storia di un'altra strana società di cui il capogruppo di Forza Italia è stato socio e amministratore per poco più di un anno. Si chiama Sicula Brokers, fu istituita nel 1979 e oggi ha cambiato compagine azionaria. Tra i soci fondatori, accanto a un'assicurazione del nord, c'erano Renato Schifani e il ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia, nonché soggetti come Benny D'Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà. Nomi che a Palermo indicano quella zona grigia in cui impresa, politica e mafia si confondono. Benny D'agostino è un imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e, negli anni in cui era socio di Schifani e La Loggia, frequentava il gotha di Cosa Nostra. Lo ha ammesso lui stesso al processo Andreotti quando ha raccontato un viaggio memorabile sulla sua Ferrari da Napoli a Roma assieme a Michele Greco, il papa della mafia.
Giuseppe Lombardo invece è stato amministratore delle società dei cugini Ignazio e Nino Salvo, i famosi esattori di Cosa Nostra arrestati da Falcone nel lontano 1984 e condannati in qualità di capimafia della famiglia di Salemi. Nino Mandalà, infine, è stato arrestato nel 1998 ed è attualmente sotto processo per mafia a Palermo. Questo ex socio di Schifani e La Loggia era il presidente del circolo di Forza Italia di Villabate, un paese vicino a Palermo e proprio di politica parlava nel 1998 con il suo amico Simone Castello, colonnello del boss Bernardo Provenzano mentre a sua insaputa i carabinieri lo intercettavano. Mandalà riferiva a Castello l'esito di un burrascoso incontro con il ministro Enrico La Loggia, allora capo dei senatori di Forza Italia. Mandalà era infuriato per non avere ricevuto una telefonata di solidarietà dopo l'arresto del figlio (poi scagionato per un omicidio di mafia). E così raccontava di avere chiuso il suo colloquio con La Loggia: «Siccome io sono mafioso ed è mafioso anche tuo padre che io me lo ricordo quando con lui andavo a cercargli i voti da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga. Lo posso sempre dire che tuo padre era mafioso. A quel punto lui si è messo a piangere». La Loggia ha ammesso l'incontro ma ne ha raccontato una versione ben diversa. E anche Mandalà al processo ha parlato di millanteria. Nella stessa conversazione intercettata Mandalà parlava di Schifani in questi termini: «Era esperto a 54 milioni all'anno, qua al comune di Villabate, che me lo ha mandato il senatore La Loggia».
Schifani è stato sentito dalla Procura e, senza falsa modestia ha spiegato con la sua bravura la consulenza e lo stipendio: «Il mio studio è uno dei più accreditati in campo urbanistico in Sicilia». Ma per La Loggia sotto sotto c'era una raccomandazione: «Parlai di Schifani con Gianfranco Micciché (coordinatore di Forza Italia in Sicilia) e dissi: sta sprecando un sacco di tempo e quindi avrà dei mancati guadagni facendo politica. Vivendo lui della professione di avvocato dico se fosse possibile fargli trovare una consulenza. È un modo per dirgli grazie. E allora parlammo con il sindaco Navetta». Il sindaco Navetta è il nipote di Mandalà e il suo comune è stato sciolto per mafia nel 1998.
Il capogruppo di Forza Italia è stato sfortunato anche nella scelta dei suoi assistiti. Proprio un suo ex cliente recentemente ne ha fatto il nome in tribunale. La scena è questa: Innocenzo Lo Sicco, un mafioso pentito, il 26 gennaio del 2000 entra in manette in aula a Palermo e viene interrogato sulla vicenda di un palazzo molto noto in città, quello di Piazza Leoni. Le sue parole fanno balenare pesanti sospetti: «L'avvocato Schifani ebbe a dire a me, suo cliente, che aveva fatto tantissimo ed era riuscito a salvare il palazzo di Piazza Leoni facendolo entrare in sanatoria durante il governo Berlusconi perché, così mi disse, fecero una sanatoria e lui era riuscito a farla pennellare sull'esigenza di quegli edifici. Era soddisfattissimo. Perché lo diceva a me? Ma perché io lo avevo messo a conoscenza di qual era la situazione, l'iter, le modalità del rilascio della concessione...».
La Procura dopo aver analizzato le parole del pentito non ha aperto alcun fascicolo per la genericità del racconto. Comunque la storia di questo palazzo, scoperta dal giornalista de "la Repubblica" Enrico Bellavia, è tutta da raccontare. Comincia alla fine degli anni Ottanta quando Pietro Lo Sicco, imprenditore finanziato dalla mafia e zio di Innocenzo, mette gli occhi su un terreno a due passi dal parco della Favorita, una delle zone più pregiate di Palermo. Lo Sicco vuole costruirci un palazzo di undici piani ma prima bisogna eliminare due casette basse che appartengono a due sorelle sarde, Savina e Maria Rosa Pilliu, che non vogliono svendere. Pietro Lo Sicco le minaccia e le sorelle si rivolgono alla polizia. Ma la mafia è più lesta della legge: Lo Sicco ottiene la concessione edilizia grazie a una mazzetta di 25 milioni di lire e comincia ad abbattere l'appartamento a fianco. Quando le sorelle vedono avvicinarsi il bulldozer cominciano ad arrivare nel loro negozio i fusti di cemento. Il messaggio è chiaro: finirete lì dentro. Lo Sicco smentisce di essere il mandante ma la Procura offre alle Pilliu il programma di protezione. Oggi le sorelle sono un simbolo dell'antimafia: vivono proprio nel palazzo costruito da Lo Sicco e confiscato dallo Stato. Il costruttore è stato condannato a 2 anni e otto mesi per truffa e corruzione a cui si sono aggiunti sette anni per mafia.
All'inaugurazione del nuovo negozio costruito grazie al fondo antiracket, il senatore Schifani non c'era. Era dall'altra parte in questa vicenda. Il suo studio ha difeso l'impresa Lo Sicco davanti al Tar. Il pentito Innocenzo Lo Sicco, ha raccontato che lui stesso accompagnava l'avvocato Schifani negli uffici per seguire la pratica. Certo all'epoca l'imprenditore non era stato inquisito e il senatore non poteva sapere con chi aveva a che fare anche se il genero di Lo Sicco era sparito nel 1991 per lupara bianca. In quegli stessi anni Schifani assisteva anche altri imprenditori che sono incappati nelle confische per mafia, come Domenico Federico, prestanome di Giovanni Bontate, fratello del vecchio capo della cupola Stefano. Un settore quello delle confische che il senatore non ha dimenticato in Parlamento. Quando ha presentato un progetto di legge (il numero 600) per modificare la legge sulle confische e sui sequestri.

ha collaborato Giuseppe Lo Bianco
13.08.2002

Un saluto a Peppino Impastato

Fresco era il mattino
e odoroso di crisantemi.
Ricordo soltanto il suo viso
violaceo e fisso nel vuoto,
il singhiozzo della campana
e una voce amica:
"è andato in paradiso
a giocare con gli angeli,
tornerà presto
e giocherà a lungo con te".

Le poesie di Peppino (www.peppinoimpastato.com)

Italia 2008? - by Livio Androzio

L'Italia, pensai, aveva subìto forme di anticomunismo molto più subdole, e comunque efficacissime, rispetto agli Stati Uniti. Certo, l'ispirazione all'anticomunismo ed un fondamentale aiuto nell'esercizio delle pratiche anticomuniste era pur sempre venuto dagli Usa. Ma qui si tradusse in logge massoniche, in servizi segreti deviati, nelle stragi di stato, nel terrorismo di matrice neofascista e, potrebbe quasi sembrare una bestemmia, anche nel fenomeno delle brigate rosse, più o meno cavalcate dagli Stati Uniti e da una ulteriore ridda di servizi segreti che a prescindere dalla nazionalità, aveva comunque un'identica ispirazione: impedire al PCI di andare al governo.
Ma perchè tutta questa protervia?
Non mi si venga a dire che fù per le dottrine economiche del PCI che, vista la sua storia ( critiche sempre più nette verso i sistemi economici sovietici, riconoscimento dell'ombrello della Nato ) non sarebbero state certo più pericolose di quelle messe in atto in altre socialdemocrazie europee e tanto più che comunque verso gli Usa era comunque vivo tra la popolazione un senso di ringraziamento per la liberazione e per gli aiuti economici ricevuti col piano Marshall.
E allora? Il vero motivo, pensai con rabbia, era per il senso etico e morale che il PCI avrebbe potuto diffondere nella società italiana: era questo il vero ostacolo all'affermarsi di un capitalismo per niente liberale ma anzi, come si vede meglio oggi a distanza di decenni, sempre più bieco e autoreferenziale. L'opposizione alla corruzione dilagante negli apparati dello stato e nelle partecipazioni statali, il rafforzamento dell'autonomia politica dello stato italiano, il rispetto per le regole democratiche e per la magistratura, la diffusione della cultura presso tutti gli strati sociali: questi erano i veri e profondi ostacoli che l'arrivo al governo del PCI ( seppure con molte contraddizioni e con molta lentezza ) avrebbe frapposto all'avanzata del "capitalismo" becero.
Era questo che doveva essere evitato, a tutti i costi. Che poi sia stato chiamato anticomunismo è solo un particolare di costume, una comodità, una semplificazione.
E già l'omicidio Matteotti, mezzo secolo prima, ( e parliamo di un uomo che non poteva certo essere definito "comunista" ) in definitiva non era stato che l'inizio di questa battaglia contro "l'autonomia italiana" che in Italia aveva trovato a difenderla i comunisti. In nessun altro paese europeo è accaduto quello che si è visto negli ultimi 50 anni in Italia.
Oggi questa "tensione morale" è ormai stata ridotta a questione marginale: rimbambiti dalle televisioni che sono solo appendici politiche, da una stampa imbavagliata o collusa, gli italiani non sanno neanche ricordarsi cos'era il comunismo di trent'anni fa; non era certo una forma di economia da socialismo reale, non era certo l'annientazione dei rivali politici nei gulag o in esilio ( anche perchè quì non c'è la Siberia, tutt'al più le Alpi ). Era la voglia di crescere, di educarsi, di formarsi e magari di emanciparsi dai vari protettori, fossero essi gli Stati Uniti o la Russia.
L'Italia 2008 non ha più, purtroppo, l'esigenza dell'anticomunismo, per il semplice fatto che non c'è più nulla del comunismo ( almeno per come lo intendo io ). La sconfitta del comunismo non avviene oggi, ma è già avvenuta trent'anni fa. Ci uccisero il presidente del consiglio che avrebbe portato il PCI al governo. Da quel momento la parabola è stata solo discendente, la società s'è imbarbarita.
Chi sono oggi i comunisti italiani ( presenti o meno in parlamento ), di cosa parlano se non delle loro sottili differenze dottrinali, quale proposta hanno per uno sviluppo sano di questa società? Cosa propongono per rivitalizzare questa società? Si rifanno ancora alla Russia, quella del compagno Putin?
L'Italia 2008 non è comparabile con gli Stati Uniti del 1950 per il semplice motivo che qui è del tutto assente un rischio di ritorno al comunismo. Questa Italia è ormai solo un brodo di frustrazione, di populismo, di maleducazione, di arrivismo, di sopruso, di malavita semplice e organizzata, di affarismo losco e arrembante, di ignoranza, di sfascismo, di intolleranza, di presunzione. E ciò avviene sia negli strati del ceto dirigente, quelli "illuminati", che soprattutto, ed è questo il dolore maggiore, tra la maggioranza della popolazione comune, vittima e carnefice di se stessa. E' questa la sconfitta del comunismo in Italia. Ma viene da molto lontano, non è roba di oggi.Oggi l'Italia ha semplicemente eletto a governarla il suo miglior rappresentante, e si è manifestata pienamente per quello che è oggi.

America 1950 o Italia 2008? - by Augusto Druso

... Al culmine della Paura Rossa, trentadue dei quarantotto stati prevedevano giuramenti di fedeltà di vario genere. Nello stato di New York, osserva Oakley, era necessario giurare fedeltà per ottenere una licenza di pesca. Nell'Indiana i giuramenti di fedeltà venivano imposti ai professionisti di lotta libera. La legge sul controllo dei comunisti del 1954 rese un reato federale comunicare idee comuniste in qualsiasi modo, compreso il sistema di segnalazione con le bandierine. Nel Connecticut divenne illegale criticare il governo o parlar male dell'esercito o della bandiera americana. Nel Texas potevi fare vent'anni di galera in quanto comunista. A Birmingham, Alabama, era illegale anche soltanto conversare con un comunista.La Commissione del Congresso per le attività antiamericane diffuse milioni di volantini intitolati Cento cose che dovreste sapere sul comunismo in cui spiegava nei dettagli a cosa bisognava prestare attenzione nel comportamento di vicini, amici e famigliari. Billy Graham, lo stimato predicatore evangelico, dichiarò che più di mille organizzazioni americane apparentemente regolari erano in realtà facciate dietro cui si nascondevano iniziative comuniste. Rudolf Flesch, autore del best seller Why Johnny Can't Read, sosteneva che il fatto che nelle scuole non si praticasse l'insegnamento basato sulla fonetica stava minando la democrazia e aprendo la via al comunismo. Westbrook Pegler, un opinionista pubblicato da diversi giornali, suggerì che chiunque fosse stato comunista in qualsiasi momento della sua vita venisse semplicemente giustiziato. La suscettibilità era tale che, secondo quanto racconta David Halberstam, quando la General Motors assunse un progettista russo di nome Zora Arkus-Duntov nei comunicati stampa lo descrisse falsamente come "di retaggio belga".Nessuno sfruttò la paura meglio di Joseph R. McCarthy, il senatore repubblicano del Wisconsin. Nel 1950, in un discorso tenuto a Wheeling, West Virginia, McCarthy sostenne di avere in tasca una lista di duecentocinque comunisti che lavoravano al dipartimento di Stato. Il giorno dopo disse di averne un'altra con cinquantasette nomi. Nel corso degli anni successivi McCarthy agitò molte liste, ciascuna delle quali avrebbe dovuto contenere un numro diverso di agenti comunisti. Nei suoi ardenti sproloqui contribuì a rovinare molte vite senza mai presentare alcuna delle liste promesse. Non produrre le prove stava diventando una sorta di tendenza.... L'isteria era tale che non era necessario aver fatto qualcosa di male per finire nei pasticci. Nel 1950 tre ex agenti dell'Fbi pubblicarono un libro intitolato Red Channels: The Report of Communist Influence in Radio and Television, accusando centocinquantuno celebrità - fra cui Leonard Bernstein, Lee J. Cobb, Burgess Meredith, Orson Welles, Edward G. Robinson e la spogliarellista Gipsy Rose Lee - di vari atti sediziosi. Fra le sconvolgenti malefatte di cui questi personaggi venivano accusati vi erano dichiarazioni contro l'intolleranza religiosa, l'opposizione al fascismo e il sostegno alla pace mondiale e alle Nazioni Unite.

(Bill Bryson - Vestivamo da Superman)

Il disinformatore scientifico del medico mutuo e del paziente vago

Elementi fondamentali: il “Negro”, lo sciroppo di ipecacuana, la prima guerra del golfo, il progetto “Fireball”, gli anni settanta, il calcio, tutto il resto.