lunedì 29 dicembre 2008

Era il 2008!

Stasera ho passato qualche ora a cercare in Internet una lista di quante guerre sono in corso nel mondo: una lista univoca non esiste. Ma ho trovato vari siti che ne parlano: Peace Reporter, Amnesty International e tanti altri ancora. Un elenco abbastanza esauriente di organizzazioni che seguono questo argomento lo trovate su wikipedia, digitando "conflitti in corso". Tra le tante pagine che ho trovato, mi sono soffermato su quella che potete vedere cliccando qui ed esplorandola http://www.alertnet.org/map/index.htm: mi è parsa la più significativa e la più completa, perché forse è riduttivo capire "solo" quante guerre sono in atto, oggi. Certo, non è una cartina geografica che può farci capire la tragedia immensa anche di una sola vita spezzata da una pallottola, da una bomba o da un machete, o dalla mancanza d'acqua e di cibo, o da condizioni sanitarie inimmaginabili, o da malattie epidemiche che potrebbero essere curate con pochissimo: tragedie che succedono migliaia di volte al giorno, lontane da noi (ma in realtà non più distanti di tanti posti dove andiamo in vacanza, a poche ore di volo). E non è mia intenzione, qui, analizzare i motivi di tutto questo sfacelo nè stilare elenchi di buoni e cattivi: li ho in mente per me, in maniera epidermica, forse anche superficiale e ingenua. Posso però cercare di riflettere sulla fragilità di questo pianeta e chiedermi se è così che lo vorrei. E cosa potrei fare per migliorarlo anche solo in maniera infinitesimale. Ecco, è questo che ho pensato cercando di osservare a fondo, col cuore e con la mente, una mappa geografica che cambia colore, altrimenti fredda, arida, insignificante. Forse Tacito, disse che "la debolezza umana fa sì che i rimedi vengano sempre dopo il male"... Nei miei sogni, per l'anno nuovo, vorrei poter dire che non è vero!

Buon 2009 !!

sabato 20 dicembre 2008

Anch'io in Parlamento

Narrano le cronache che la Camera dei Deputati si stia attrezzando per installare un sistema che eviti la ridicola piaga dei pianisti, ossia quei deputati che durante le votazioni pigiano il tastino per il collega assente. Costo dell'operazione 390.000,00 euro. A parte il fatto che sembra di stare in un asilo nido anziche in un ramo del Parlamento, a parte il fatto che Brunetta potrebbe/dovrebbe far mettere i tornelli anche a Montecitorio (sono o non sono degli "statali" in senso lato anche i nostri parlamentari?) mi viene da pensare che se proprio questa spesa deve essere fatta, allora quei soldi potrebbero essere utilizzati meglio, e non è qualunquismo: la retribuzione di un qualunque lavoratore/lavoratrice part-time è di circa 6/700 euro mensili. Perchè non assumerne uno che faccia la conta dei votanti? Per quarant'anni staremmo a posto. Mi candido!!

mercoledì 17 dicembre 2008

MODI DI GOVERNARE - 4

Nero su Bianco, per chi avrà voglia di leggere, ecco il comunicato stampa della Procura di Napoli che motiva l'arresto di un imprenditore, gli arresti domiciliari per altre dodici persone e la richiesta dell'autorizzazione a procedere nei confronti di due parlamentari della Repubblica Italiana, per una ennesima storia di appalti truccati. Per carità, non è il testo di una condanna, sono solo motivazioni e dunque finché il reato non è dimostrato tutti gli interessati sono da considerarsi innocenti. Ma se avrete la pazienza di leggere l'articolo forse alla fine concorderete con me che non sono singole falle nel sistema: è il sistema che è fallato, marcio. Ed è ormai riduttivo pensare che sia solo la politica a dover essere riformata! Quando per "guidare" un appalto servono varie competenze, e tutte quelle "competenze" alla fine convergono, si ritrovano, collaborano e centrano l'obiettivo desiderato, dal politico all'imprenditore, dall'amministratore locale all'impiegato comunale, fino ad arrivare al finanziere depistatore, allora non si può più solo parlare di mele marce, di singoli episodi. La mafia c'è, esiste, e siamo noi.
http://static.repubblica.it/napoli/pdf/nota_procura.pdf

mercoledì 10 dicembre 2008

Nanoparticelle

Ho trovato questo articolo su un blog ecologista. Ora, la mia ignoranza sull'argomento è di una profondità abissale. Ma il dubbio che ci sia qualcosa di vero in quanto viene sostenuto mi obbliga a sottoporlo alla vostra riflessione.
http://www.ecoblog.it/post/1263/nanoparticelle-e-nanopatologie

venerdì 5 dicembre 2008

MODI DI "GOVERNARE" - 3

Non c'è che dire. i vecchi proverbi sbagliano raramente. Conoscete quello che recita: "Chi amministra, ha minestra...". Il video che segue è un esempio lampante (e quanti altri ce ne sarebbero) di come il problema in Italia non sia solo quello pur enorme dei politici che siedono in parlamento. Considerate che in Italia i Comuni sono circa 8000. Se solo un (prudenziale) 20% fosse governato con i metodi che ascolterete dal video, avremmo circa 1600 amministrazioni pubbliche ( di destra, sinistra, centro, centro-sinistra ecc) amministrate in cotal guisa. E le regioni? E le province? E le circoscrizioni? E le comunità montane? E gli enti parastatali? E gli enti pubblici? Magari il problema fosse solo Berlusconi...

domenica 30 novembre 2008

MODI DI "GOVERNARE" - 2

Un altro contributo per chiarire come verranno utilizzati i soldi dei contribuenti. Se non è istigazione all'evasione fiscale ci manca veramente poco: di seguito un intervista illuminante.

Intervista a Remo Calzona, il supertecnico che presiede il comitato per la verifica di fattibilità
"Caro e anche pericoloso"Bocciato il ponte sullo Stretto
di ANTONELLO CAPORALE

Una elaborazione al computer del ponte sullo Stretto di Messina
L'UOMO del Ponte si chiama Remo Calzona. Al dipartimento di ingegneria strutturale e geotecnica della Sapienza di Roma tutti lo conoscono. E anche a Reggio Calabria. Decine e decine di sopralluoghi tra Scilla e Cariddi e viaggi in tutto il mondo. Figura illuminata a cui prima l'Anas (1986) poi il governo (2002) hanno affidato la presidenza del comitato tecnico-scientifico per la verifica della fattibilità della grandiosa opera del Ponte sullo Stretto. "La soluzione progettuale mi appare oggi assai costosa e per nulla immune da crisi strutturali". Ahi, casca il Ponte? "Bellissima domanda alla quale rispondo con Popper (ho rubato al suo pensiero il titolo del mio ultimo lavoro): La ricerca non ha fine". L'uomo è fallibile. "In Danimarca il ponte sullo Storebelt ha patìto il fenomeno del cosiddetto galopping. Il nastro d'asfalto si è andato deformando, tecnicamente è una deformazione ortogonale alla direzione del vento". Su e giù, come fosse un grosso serpente. "Esattamente così. Una deformazione, dovuta al fluido dinamico che impone di bloccare per motivi di sicurezza il passaggio di cose e persone. Ma il ponte si realizza proprio per permettere il transito ininterrotto". Se soffia il vento a Scilla, ponte chiuso. "Anche cento giorni all'anno". Lei propone di ridurre l'ampiezza delle campate da 3300 a 2000 metri. "Ci siamo accorti che la riduzione azzera quel fenomeno". Ma nel 2002 era di diverso parere. "Bellissima considerazione: mi viene in aiuto ancora Popper. La scienza misura i suoi passi sui propri errori".
I ponti si costruiscono ma ogni tanto cadono. "Hai voglia se cadono! Nel secolo scorso abbiamo conosciuto il collasso provocato dalla fatica dei materiali". Come un asinello che si stanca e stramazza al suolo. "Carichi ripetuti sulla medesima struttura, fatica sviluppata fino al punto di insostenibilità". Crash. "Con la crisi del ponte di Tacoma, sopra Los Angeles, ci siamo accorti di un altro elemento destabilizzante, chiamato fletter. Sempre causato dal vento". Il vento eccita, maledetto lui. "Eccita". Adesso siamo di fronte al galopping. "Fare un ponte e spendere tanti quattrini per vederlo chiuso che senso ha?". Ne ha parlato con la società dello Stretto di Messina? "Pensi che l'amministratore delegato, l'ingegner Ciucci, mi ha persino diffidato a pubblicare il libro che documenta le mie nuove ragioni". E perché? "E che ne so! Uno gli dice che si può fare un ponte con meno della metà dei soldi e più sicuro e si sente trattato in questo modo". Lo deve dire a Gianni Letta. "Io scrivo e riscrivo. Soprattutto a Letta: guarda che così non va". Ma Impregilo, la ditta costruttrice, ha il suo progetto. Chiederà penali. "Chiamassero me: la metterei in ginocchio". Professore: e se tra tre anni, o cinque o dieci lei scova qualche altro errore? "Bellissima domanda: rispondo ancora con Popper. Lavoriamo sugli errori e sull'esperienza per fornire una soluzione progettuale che riduca il rischio di collasso della struttura entro limiti convenuti". Limiti convenuti. "Io non sono un mago".

MODI DI "GOVERNARE" - 1

Non ho abbonamenti a Sky, e dunque dal punto di vista economico non avrò nessun aggravio di costi se aumenterà l'Iva sulle Pay-Tv. Ma lo ritengo un'ulteriore segnale, se ce ne fosse bisogno, di come il governo Berlusconi sta lavorando. Leggetevi l'articolo seguente:


La pay-tv protesta con una nota dell'ad italiano: raddopiata la tassa sugli abbonati. Così l'esecutivo colpisce oltre quattro milioni e mezzo di famiglie"
Crisi, sull'Iva Sky contro il governo"E' un'altra tassa sulle famiglie"
Insorge anche il Pd: "Così il premier di Mediaset colpisce la concorrenza"

ROMA - Nel pacchetto anticrisi varato ieri dal governo c'è anche la sorpresa pay-tv. Vale a dire il raddoppio dell'Iva sugli abbonati. Decisione che da infuriare la tv di Murdoch, leader in Italia nel settore. Con tanto di nota ufficiale dell'amministratore delegato di Sky Italia Tom Mockridge. I toni sono durissimi. "In una fase di crisi economica i governi lavorano per trovare una soluzione che aumenti la capacità di spesa dei cittadini e sostenga la crescita delle imprese con l'obiettivo di generare sviluppo e nuovi posti di lavoro. Ad esempio, questa settimana, il primo ministro inglese Gordon Brown ha annunciato una riduzione dell'Iva dal 17,5% al 15%. Ieri invece il governo italiano ha annunciato invece una misura che va nella direzione opposta: il raddoppio dell'Iva sugli abbonamenti alla pay-tv dal 10 al 20%". Tom Mockridge dunque non usa mezzi termini nel criticare la norma approvata ieri dal Consiglio dei ministri. E ricorda che "dal 2003 Sky ha costantemente investito in Italia trainando la crescita dell'intero settore televisivo, grazie a questi investimenti e senza sussidi da parte del governo". Inoltre, prosegue, "Sky oggi dà lavoro direttamente ad oltre 5000 persone e ad altre 4000 nell'indotto, più del triplo del totale dei dipendenti sommati di stream e tele+ nel 2003. Con la decisione annunciata ieri le tasse generate grazie agli abbonati di Sky cresceranno a 580 milioni di euro, una crescita evidentemente in contrasto con l'affermazione del governo che questo pacchetto 'sostiene lo sviluppo delle imprese'".
Dunque, puntualizza, "deve essere chiaro che questo provvedimento è un aumento delle tasse per le oltre 4.6 Milioni di famiglie italiane che hanno liberamente scelto i programmi di Sky. Informeremo immediatamente i nostri oltre 4,6 milioni di abbonati di questa decisione del governo di aumentare le loro tasse, affinchè in questi tempi difficili abbiano chiaro che cosa sta accadendo alla loro capacità di spesa". Ma il provvedimento non è piaciuto neppure al Partito democratico, che denuncia il palese conflitto d'interessi. "Il raddoppio dell'Iva per la tv a pagamento inserito a sorpresa nel decreto anti crisi del governo ha tutta l'aria di un blitz contro Sky, il principale concorrente privato di Mediaset", denuncia Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione del Pd. "L'azienda di proprietà della famiglia Berlusconi - aggiunge - non è infatti coinvolta dall'aumento visto che la norma del 1995 abrogata ieri riguarda solo la tv via satellite e via cavo. L'eventuale coinvolgimento di Mediaset, lamentato dall'azienda di Cologno ieri a tarda sera, sarebbe comunque insignificante perché relativo non alle carte prepagate del calcio ma soltanto agli abbonamenti mensili per alcuni canali digitali. In pratica, anche se fosse vero questo coinvolgimento, sarebbe infinitesimale". "In ogni caso - conclude Gentiloni - sarebbe molto grave che ad essere colpiti dal blitz governativo fossero alla fine i quasi 5 milioni di abbonati a Sky. Nei prossimi giorni ci rivolgeremo alle Autorità di garanzia per verificare se la norma anti Sky non è un caso classico di quel 'sostegno privilegiato' all'azienda di proprietà di Berlusconi che è vietato anche dalla nostra blanda normativa sul conflitto di interessi". E all'attacco va anche il ministro ombra dell'Economia Pierluigi Bersani. "L'onorevole Berlusconi - si chiede ironicamente - era presente al Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto anti crisi? In quel decreto c'è una tassa sulla pay-tv che pagheranno milioni di famiglie e che pesa uno per le aziende del presidente del Consiglio e cento per un suo concorrente". "Benché ci si siamo ormai abituati a tutto - aggiunge Bersani - voglio credere che una simile stortura del mercato non passi inosservata. Sarà una buona occasione per sapere quanti liberali ci sono in Parlamento". Dello stesso tenore il commento dell'Italia dei Valori. "La 'tassa Sky' - afferma il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi - è l'ennesimo caso che dimostra ancora una volta la necessità e l'urgenza di risolvere il conflitto d'interessi nel nostro paese. Un'anomalia unica nel panorama delle democrazie occidentali". "E' singolare - prosegue - che tra i provvedimenti ce ne sia uno che colpisce direttamente un'azienda concorrente di Mediaset. Un caso del genere non sarebbe mai stato possibile né negli Usa né in un altro paese europeo". Sulla polemica interviene pure l'Udc, chiedendo al governo di ritirare il provvedimento. "Siamo certi che si tratti di un errore, perché sarebbe quantomeno improvvido, oltre che sbagliato, da parte del presidente del consiglio colpire l'unica azienda privata in reale competizione con Mediaset", afferma il capogruppo del partito in commissione di Vigilanza sulla Rai Roberto Rao. "Comunque - continua - c'è tutto il tempo per rimediare, visto che da parte del governo è stata annunciata la disponibilità ad accogliere le osservazioni dell'opposizione su questo decreto". Ma il governo, per bocca del sottosegretario all'Economia Luigi Casero, smentisce che il provvedimento sia stato pensato come favore alle tv del presidente del Consiglio. "A nessuno sfugge - afferma - che l'incertezza del momento si porta dietro la possibilità di richiedere sacrifici anche a tutto il comparto televisivo. Non c'è dunque alcuna persecuzione o calcolo politico il governo va avanti nella consapevolezza che di fronte alla crisi globale dell'economia sia doveroso aiutare le famiglie e le imprese". (29 novembre 2008)

mercoledì 5 novembre 2008

è nato 'no criàturo, è nato nìro...

E' meraviglioso, Barack Obama è il nuovo presidente
degli Stati Uniti.


Gli "osanna" si levano in cielo e rimbalzano tra la selva infestante dei satelliti, che li diffondono e li amplificano per tutto il globo terracqueo e oltre: è un altro cambiamento epocale a cui abbiamo la fortuna di assistere. Dopo l'uomo sulla luna e il crollo del muro di Berlino ecco che un Negro conquista la Casa Bianca: un paradosso lessicale e cromatico di portata infinita.
Tutto il mondo è in festa, tutti salutano con affetto e ammirazione il vincitore e intimamente gli affidano una speranza cieca, messianica: è l'uomo che risolverà tutti i nostri problemi !! E così facendo si certifica una volta di più che gli Stati Uniti sono quelli che ancora indubbiamente comandano, e fanno, e disfano... evviva i padroni del mondo, esempio di democrazia per tutti. Certo, benché mai troppo filoamericano, anch'io sono felice: che Obama sia un democratico, che paia molto attento alle tematiche ambientali, che parli della necessità di collaborazione tra il suo e gli altri paesi, che abbia un approccio meno guerrafondaio alle crisi mondiali, che si batta per la pari dignità di ogni individuo, e anche che sia negro, perchè è un simbolo di riscatto per tutti i negri che hanno pagato con la vita le colonizzazioni e un pò per tutte le persone discriminate in base alla "razza", ieri come oggi. Ma aldilà di ogni ragionevole speranza è ancora tutto da dimostrare cosa Obama riuscirà a fare. Certo, si è esposto molto; certo, avrà delle responsabilità da far tremare i polsi; lo ammiro e non lo invidio.

Tuttavia ho dei sentimenti contrastanti...
...come di uno squisito pasto mal digerito...

...non ce la faccio ad unirmi al coro festante....

...sono intimamente felice per Obama....

....ma sono molto malinconico per la mia Italietta: in questa epoca così densa di avvenimenti storici, è un paese che va a marcia indietro, che calpesta i suoi cittadini migliori e anziché trarre lezioni di democrazia affonda nei miasmi di una dittatura strisciante e mafiosa, populista e razzista, classista e maneggiona. Oggi il mio ( sigh! ) Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, si è unito al coro degli alleluia e anche lui ha detto che la lezione che giunge dagli Usa è fenomenale: ma non era stato proprio lui pochi mesi fa a sparare a zero sul mio ( sigh!! doppio sigh!! ) attuale Presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, salvo rimangiarsi tutto pur di ottenere una pur comodissima poltrona? Perché tutto questo schifo in questo paese?

Ecco perché sono felice a metà: Obama è il presidente degli Stati Uniti, non dell'Italia.

E se Obama ci prestasse per qualche anno il buon McCain, che come prima dichiarazione dopo la batosta ha detto "Obama è il mio presidente e collaborerò con lui!"?

In definitiva è un conservatore, esattamente come Berlusconi, e, tacchi a parte, sono alti uguale...

Graziano






mercoledì 15 ottobre 2008

Acido Lattico Giornaliero

Quest'anno farò sport:
sto allenandomi per il
Campionato Italiano
di Stanchezza Estrema (CISE)...

Vince quello che dimostrerà di essere
più stanco degli altri di questo paese.

Infatti sono stanco...
Sono molto stanco...

Di leggere che in Parlamento,
specchio del Paese,
siedono
canaglie e ladroni,
il 7 per cento pressappoco,
protette dalla Giunta
alle Non Autorizzazioni.
Eppure il Capo è una così
brava persona, è anche spiritoso...

Di leggere che tanta
parte del Bel Paese annega
nelle colate di
Tangenti a pronta presa

Di vedere che generazioni
intere non potranno
mai aprire neanche un mutuo
plurisecolare
godendo di 600 euro di stipendio
al mese.

Di constatare
che ogni giorno
ignoti figli di
ignota madre
partoriscono
leggi ad personam,
ad quella personam!

Di intuire che l'econo-mia
non è poi tanto mia,
salvo la parte dei debiti.

E sono sempre più stanco...

Leggo che alla Magistratura si vuol
metter il bavaglio: ma perchè
questa fatica
se è tutto depenalizzato?

Cerco di capire la storia
di Alitalia e Air Uàn, ma sono
troppo stanco!
Chiamiamola TOTOCAI
la nuova compagnia di bandiera,
o è poco Italico e troppo a mandorla?

Allora affronto il tema
Mediobanca
ma Geronzi gode sopra
e sotto la panca sulla quale
vorrei alleviare la mia
stanchezza.

E che dire delle
Ferrovie dello Stato,
che hanno come vero fine sociale
quello di incrementare
gli allevamenti di pulci
e scarafaggi?

Sarà che sono veramente stanco
ma non capisco bene
quale Scuola si prospetta
con la prossima riforma.
Mi pare di capire che sarà quella
dell'uguaglianza:
un maestro,
brianzolo,
ed un alunno,
ariano,
in tutta Italia...
cazzo, mio figlio è basso
e di carnagione scura...

Per parlare del
Razzismo quindi, ci vorrebbe troppo tempo
troppa sociologia
troppo perbenismo
e io sono sempre più stanco
e loro sempre più rumeni.

E leggo che Saviano
se ne vuole andare
dall'Italia! E' proprio
un paese faticoso
se solo a dire la verità
(risaputa, per giunta)
si rischia la pelle.

Camorra, Mafia e
N'drangheta mi stroncano:
sono come il peccato originale,
mi accompagnano dalla nascita,
proprio come questa
Repubblica delle Banane che non le vuole
abbattere.

E il Santo Padre? Ce lo vogliamo
dimenticare di quanto accresce
la mia stanchezza?
Al crollo delle borse
ha sentenziato: "Il denaro non
è nulla!!"
Allora pagasse l'ICI,
rinunciasse all'ottopermille,
e amici come prima...
e lasciasse morire in pace
chi non ne può più.

Ecco perchè son così stanco:
qui,
al massimo,
qualcosa resta dove stancamente
l'avevi lasciata venti o trent'anni fa.
Tutto il resto,
sovente,
peggiora e aggrava
la mia stanchezza;
quasi quasi
la chiamerei
sfinimento.

Ormai nessuno può più
fermare i
miei gioielli
che rotolano a valle
soli e spensierati

E io,
così spossato
da lasciarli
andare....

Merito senz'altro un posto
sul podio!!

martedì 30 settembre 2008

Trenitalia e managers esilaranti

Ferrovie: per Alta velocita' nuovi aumenti dal 14 dicembre

(ANSA) - ROMA, 30 SET - In arrivo nuovi aumenti dei biglietti dei treni, in concomitanza con il nuovo orario invernale che entrera' in vigore il 14 dicembre.I rincari riguarderanno i nuovi servizi per l'alta velocita'. 'Faremo aumenti si' ma non ci porteremo ai livelli delle ferrovie francesi',ne' di quelle tedesche, ha detto l'ad delle Ferrovie Mauro Moretti parlando al tavolo di conciliazione con le associazioni dei consumatori. L'alta velocita' 'non deve essere un servizio di elite ma di massa',ha aggiunto.A proposito della liberalizzazione del trasporto ferroviario, che scattera' dal 2010, Moretti ha sottolineato come in Italia ''le maglie siano piu' larghe rispetto ad altri paesi, corriamo il rischio che francesi e tedeschi si prendano tutto, sia sul trasporto aereo che su quello ferroviario', ha detto. Intanto oggi l'azienda ferroviaria ha siglato un protocollo d'intesa con le principali associazioni dei consumatori per la risoluzione amichevole delle vertenze tra le Ferrovie e i clienti. In via sperimentale, il protocollo delinea le nuove procedure di conciliazione e prevede la sperimentazione della procedura per 12 mesi, a partire dal 1 gennaio 2009. Quale terreno di prova e' stata scelta la linea Milano-Napoli, sulla quale si concentra il 35% dei reclami relativi al traffico passeggeri nazionale.(ANSA).
ANSA

http://www.ilmessaggero.it/ 30/09/08

"'Faremo aumenti si' ma non ci porteremo ai livelli delle ferrovie francesi',ne' di quelle tedesche, ha detto l'ad delle Ferrovie Mauro Moretti parlando al tavolo di conciliazione con le associazioni dei consumatori".
Ora mi sono chiare molte cose: è di nuovo iniziato Zelig e gli amministratori del Gruppo Ferrovie dello Stato stanno provando le loro migliori esibizioni. Prima l'esilarante Dr. Soprano, in una memorabile gag, incolpa gli animali domestici di essere i responsabili dello stato di degrado e sporcizia presenti sui tutti i vagoni in Italia (sporcizia intollerabile perfino sugli Eurostar di prima classe e, questo, posso anche capirlo: è giusto che più si paghi e più si abbia diritto a "monnezza" in quantità superiore), ispirandosi ad una normativa del modello di trasporto ferroviario spagnolo tralasciando che la normativa spagnola prevede il rimborso totale del prezzo del biglietto per soli 5 (cinque) minuti di ritardo e cerca di convincere l'opinione pubblica della sua inutile e fantasiosa intelligenza con la sua ordinanza e adesso il suo collega, Dr. Moretti, ci dice che ci aumenta i prezzi dell'Alta Velocità senza arrivare ai livelli delle ferrovie francesi e/o di quelle tedesche!!
Ovviamente lui si riferisce alle tariffe: la qualità del servizio e l'orario è inversamente proporzionale alla quantità di pulci, zecche e parassiti vari che troviamo sui treni delle ferrovie.
Ma cosa significa la qualità del servizio per il Gruppo Ferrovie dello Stato? Cos'è l'efficienza?
Da quanto affermano i suoi più alti dirigenti è qualcosa che va oltre ogni immaginazione!

"Tanto per fare un esempio e divertirci un poco, come termine di paragone, immaginiamo di imbarcarci su una nave spaziale. Senza andare troppo lontano, ci basterà arrivare ai confini del nostro sistema solare, tanto per farci un'idea di quanto è grande lo spazio e quanto è piccola la competenza dei managers delle ferrovie.
Anche in questo caso, mi spiace dirvelo, come sui treni, non arriveremo in orario per la cena.
Vi siete mai chiesti perché sui libri il sistema solare non è stato mai disegnato in scala? Mai neppure lontanamente in scala? La maggior parte della carte scolastiche mostrano i pianeti che si susseguono a intervalli ravvicinati, ma questo non è che uno stratagemma necessario a farli entrare tutti nello stesso pezzo di carta. In effetti, le distanze sono talmente enormi che in pratica disegnare il sistema solare in scala è impossibile. Anche inserendo nei libri scolastici moltissime pagine ripiegate oppure usando un poster enorme, non ci si avvicinerebbe all'obiettivo. In un diagramma del sistema solare in scala, con la Terra ridotta al diametro di un pisello, Giove dovrebbe essere posto a oltre 300 metri dal nostro pianeta e Plutone sarebbe a due chilometri e mezzo (per giunta sarebbe all'incirca delle dimensioni di un batterio e quindi impossibile da vedere). Sempre usando la stessa scala, Proxima Centauri, la stella a noi più vicina, andrebbe collocata a 16.000 chilometri. Anche se si riducesse Giove alle dimensioni di un punto come quello che si trova alla fine di questa frase e Plutone a quelle di una molecola, quest'ultimo si troverebbe comunque a oltre 10 metri dalla Terra." (Bill Bryson - Breve storia di quasi ... tutto)

E' qualcosa che va oltre l'immaginazione.
L'efficienza, il servizio, il rispetto per i clienti e/o viaggiatori, per i nostri fenomenali managers è qualcosa al di là di qualsiasi sforzo dell'immaginazione.
Bisogna comparare le nostre tariffe con la qualità espressa dalle nostre aziende e non fare improponibili paragoni con la normativa spagnola o con il modello francese e tedesco.
Loro viaggiano alla velocità della luce e attraversano le galassie. Lasciamoli stare.
E come direbbe Carl Sagan: la possibilità che dietro al ragionamento di un manager italiano ci sia un cervello sarebbe meno di una su un milardo di trilioni di trilioni.
Qualsiasi persona con tutti i neuroni ben collegati (bosoni esclusi) e strapagata con i soldi dei contribuenti eviterebbe di fare affermazioni da avanspettacolo e chiederebbe scusa per la sua incapacità.

E toglierebbe anche il disturbo.
Si, perché oltre ad essere dannosi, Dr. Soprano e Dr. Moretti, siete anche fastidiosi.
Sicuramente più delle zecche e pulci che infestano i treni. Almeno loro non rilasciano dichiarazioni ...

Augusto Druso

venerdì 26 settembre 2008

Nei treni solo cani piccoli e in gabbia - di Elvira Serra - www.corriere.it

Sarà richiesto anche un certificato veterinario. Le misure prese dopo gli assalti di zecche e pulci

MILANO — Via i cani, via le zecche. La sintesi forse è eccessiva. Ma è più o meno così che il Gruppo Ferrovie dello Stato intende occuparsi del problema di pulci e affini nei vagoni. Dal primo ottobre, infatti, non sarà più possibile far salire sui treni cani di media e grossa taglia, cioè quelli che pesano più di sei chili. Mentre i più piccoli, e tutti gli altri animali, dovranno viaggiare dentro il trasportino.
E non basta. Su indicazione dell'Istituto superiore di sanità, ogni viaggiatore che non faccia parte del genere umano avrà bisogno di un certificato del veterinario (rilasciato da meno di un mese) che ne attesti l'assenza di «infestazioni o patologie trasmissibili». Sono esenti «i piccoli pesci». «I cani guida per ciechi continueranno tranquillamente a viaggiare», specifica l'amministratore delegato di Trenitalia, Vincenzo Soprano. Ma ci tiene a chiarire che le iniziative anti-zecche sono tre. «Le norme sul trasporto dei cani, certo: e anzi voglio sottolineare che gli animali non pagheranno alcun biglietto. Ma abbiamo in cantiere anche modernissime procedure di disinfestazione, a caldo e a freddo, con certificazione di qualità: saranno impiegate dal 1˚ ottobre. E poi ci affideremo a nuove ditte per i servizi di pulizia, i primi bandi scadranno venerdì prossimo».
La sanzione per i trasgressori è di 100 euro, pari a quanto le Ferrovie pagherebbero per far disinfestare il vagone. Per tutto il mese di ottobre, però, chi non avrà il certificato del veterinario non dovrà pagare la multa. «Ci siamo adeguati alla normativa spagnola, un Paese che ha molte analogie con il nostro, a partire dal clima», conclude Soprano. Ben sapendo che il provvedimento non accontenterà tutti i proprietari dei sette milioni di cani presenti in Italia. Con un limite di sei chilogrammi, resteranno fuori dalle carrozze bassotti, dalmata, cocker e meticci. Per dirne alcuni. Senza contare i gatti obesi (i felini in tutto sono sette milioni e mezzo).

E infatti non si fanno attendere le reazioni degli animalisti. «Questo furore igienista è ridicolo. Quale sarà il prossimo passo? Il controllore guarderà le unghie e le orecchie di chi viaggia?», sbotta l'onorevole Carla Rocchi, presidente nazionale dell'Enpa. «Trenitalia non può pensare di eliminare le zecche. Se assicurasse servizi di pulizia decenti, il problema non si presenterebbe nemmeno. Ci opporremo con i nostri legali». Farà lo stesso la Lav. Il presidente della Lega antivivisezione Gianluca Felicetti annuncia: «Il 1˚ ottobre saliremo sui treni con cani di media e grossa taglia, vediamo se ce lo impediranno». Quanto al «modello spagnolo», non transige: «L'esempio va preso dalle aziende che funzionano, come quelle inglesi. La Spagna non ha proprio nulla da insegnarci». In definitiva: «Noi faremo ricorso in ogni sede. Questo provvedimento è gravissimo e in controtendenza con quanto avviene nelle ferrovie di tutto il mondo e con l'orientamento di molte aziende del trasporto locale e delle compagnie di navigazione».
Il sottosegretario alla Salute, Francesca Martini, giorni fa cercato una mediazione. «Se le FS disponessero la presentazione obbligatoria di un certificato che attesti la profilassi antiparassitaria, mi aspetto un atto di collaborazione da parte dei veterinari perché questo certificato sia rilasciato gratuitamente». I consumatori dell'Aduc hanno replicato così: «Prima di parlare a vanvera su cani e gatti, provvedano a pulire bene le carrozze e a licenziare chi lo fa male».


Elvira Serra - 22 settembre 2008 - www.corriere.it


Quando viene designato a capo di un'azienda importante un "fenomeno" di tanta polverosa sapienza che riesce ad affermare «Ci siamo adeguati alla normativa spagnola, un Paese che ha molte analogie con il nostro, a partire dal clima» immagino che si riferisca al fatto che in Spagna, ogni treno che arrivi con cinque minuti di ritardo rimborsa l'intero importo del biglietto e si ispiri a quel modello.
Invece il nostro "fenomeno da paese paranormale", Amministratore Delegato di un'azienda che ha la qualità del servizio offerto equivalente al numero jolly di un'estrazione della lotteria e che quando i suoi treni arrivano in orario ci sono i fotografi ad immortalare l'evento, si riferisce ad una sua geniale soluzione per risolvere il problema dei suoi vagoni discarica eliminado un numero elevatissimo di potenziali inquinatori (i treni sono pieni di cani e gatti viaggiatori) del sistema di trasporto passeggeri su rotaia: gli animali domestici di peso superiore a 6 Kg.!!
Ma dobbiamo essere felici di tanta copiosa ed illuminata fantasia: abbiamo iniziato l'era dei managers strappati alla carriera cabarettistica!!
Vorremmo forse tornare ad arrivare in ritardo senza un Amministratore Delegato che ci regali sorrisi ad ogni viaggio?
All'esilarante fenomeno a capo di Trenitalia faccio presente una cosa: sono io che non faccio salire i miei cani sui suoi treni per evitare di contrarre infezioni e parassiti di varia natura. Anzi, a ben pensarci, dovrei evitare anch'io di salire sui suoi malsani vagoni ... a meno che insieme al biglietto non sia Trenitalia a presentare un certificato medico attestante l'improbabile igienizzazione delle carrozze viaggiatori. Ovviamente non superiore a 30 giorni.

Augusto Druso

giovedì 25 settembre 2008

Tanti piccoli Hitler - di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

La frase è di quelle che fanno fare un salto sulla sedia: “Già una volta c’è stato un tal signore che all’inizio sembrava un democratico e che poi ha fatto quello che ha fatto”. Parole (e musica) di Silvio Berlusconi, che stabilisce un altro record: è il primo leader mondiale nel dopoguerra ad attribuire una patente di democrazia nientemeno che a Hitler, forse punta al Guinness dei primati. Avendo decine di portavoce, giannizzeri e camerieri, Silvio Berlusconi è stato subito protetto da una fitta cortina di parole: voleva solo polemizzare con il presidente iraniano, non l’ha fatto apposta, non è cattivo, lo disegnano così, e tutte le scemenze che si sentono in contorno alle pittoresche esibizioni del capo del governo. Ma le parole restano, e anche se pure i sassi sanno che Hitler non è stato democratico nemmeno all’asilo, nemmeno in un attimo di distrazione, nemmeno per un nanosecondo e meno che mai “all’inizio”, l’ultima esternazione porta il suo piccolo mattoncino alla costruzione della Storia riveduta e corretta. Direte: ci vuol altro per fare il revisionismo storico! E infatti c’è molto altro. Appena una settimana fa, per dire, lo stesso Berlusconi, raggiunto dalla domanda “Lei è antifascista?”, aveva risposto con un secco “Io penso a lavorare”, una frase che dice molto. C’è il ministro della difesa che inneggia alle scelte dei repubblichini di Salò. C’è la serena analisi storica del sindaco di Roma, per cui il fascismo non era niente male prima di distrarsi un attimo e varare le leggi razziali (ops! gli sono scappate). Insomma, ad Alemanno non dispiaceva per niente, il Puzzone, almeno “all’inizio”. Esattamente quel che dice Berlusconi del Führer, quel famoso democratico (all’inizio). Siamo garantisti, non siamo di quelli che pensano che tre indizi fanno una prova, ma non vorremmo arrivare al punto che cinquanta indizi fanno un campo di sterminio. E i segnali sono davvero tanti, troppi, per non allarmare qualunque democratico italiano. Le incredibili esternazioni di Dell’Utri sui libri di storia nelle scuole, che vanno riscritti perché c’è troppa Resistenza. I manifesti a Roma con scritto “me ne frego”. Il crociato Borghezio in versione neo-nazi a Colonia. La signora Santanché che implora di entrare in Forza Italia dopo aver inneggiato al Ventennio. I numerosi deputati apertamente fascisti eletti con le liste del PdL. Potrei continuare a lungo. Non c’è giorno che la cronaca non offra le gesta di qualche ardito che porta il suo mattoncino al cantiere del revisionismo. Manuela Clerici, di An, presidente di Viareggio Versilia Congressi Spa, vuole levare dal palazzo la lapide commemorativa della strage di Sant’Anna di Stazzema, ci ha provato anche con le sue mani, dopo che i dipendenti si erano rifiutati. Altra cronaca: il 20 settembre si celebra la breccia di Porta Pia, bene, uno pensa: ditemi qualcosa di laico. E invece ci si ritrova al cospetto di un commosso ricordo dei soldati papalini che eroicamente difendevano lo Stato Pontificio. E allora, quanti indizi servono per fare una prova? E’ abbastanza evidente che nella sua sostanza ideologica l’area culturale in cui naviga e prospera la destra italiana vive con fastidio certe evidenze storiche. Pensa – e lo dice – che quel trucido periodo di ferocia e ingiustizia che fu il fascismo non era proprio tutto da buttare. Perché tanto astio? A parte la voglia di rivincita degli sconfitti, vien da pensare, c’è una certa urgenza di rivalutare quei metodi: uomo forte, decisionismo, il duce ha sempre ragione, saluto al duce (e il grembiulino, l’alzabandiera, a quando i littoriali? E l’Impero?), un fascino irresistibile. Insomma, uno mediatico simile a quello che si vede ogni sera nei telegiornali Mediaset e nella propaganda governativa, una voglia sfrenata di “uomo della provvidenza”, la tentazione di vedere nel bilanciamento dei poteri di una democrazia non una conquista, ma un fastidioso ostacolo. Non è antifascista, ma pensa a lavorare. Bravo! Tanto se i treni non arrivano in orario, per tacere degli aerei, è colpa dei sindacati. Nostalgia canaglia.

http://www.alessandrorobecchi.it - 23/09/08

martedì 16 settembre 2008

Cattive compagnie (di bandiera) - di Marco Travaglio

S’è cacciata in un bel guaio, Emma Marcegaglia, nell’ansia di portare la sua razioncina d’oro alla Patria. Cioè il suo oboletto all’AliSilvio. Strapazzata perfino dal giornale della sua Confindustria per la penna dell’economista liberale Alberto Alesina, concorre col penultimo predecessore Antonio D’Amato al record di servilismo filogovernativo in viale dell’Astronomia. Quando parlerà di libero mercato, qualcuno le ricorderà che è entrata in una compagnia aerea nata dalla sospensione delle regole antitrust con modifica ad hoc di tre leggi. Quando esalterà il rischio d’impresa, qualcuno le rammenterà che il governo le ha consegnato la nuova Alitalia ripulita da debiti ed esuberi (a carico dei contribuenti). Quando siederà a trattare col governo per conto degli imprenditori, qualunque posizione assuma, sarà sospettata di averla assunta per ripagare il governo della grazia ricevuta. Quando un socio di Confindustria rischierà il crac, la Emma dovrà spiegargli come mai la sua impresa deve fallire, mentre Alitalia no. Solo pochi mesi fa, sotto Luca di Montezemolo, l’associazione degli industriali aveva mollato alla classe politica uno schiaffo morale, cominciando a espellere i soci che pagano il pizzo anziché denunciare il racket mafioso. Ora quel patrimonio di legalità, nonostante gli sforzi del presidente siciliano Ivan Lo Bello, va rapidamente evaporando. Questione di coerenza. Il gruppo Marcegaglia, pochi mesi fa, ha patteggiato per corruzione al Tribunale di Milano a proposito di una tangente pagata nel 2003 a un manager dell’Enipower in cambio di un appalto: pena pecuniaria 500 mila euro e 250 mila di confisca alla Marcegaglia Spa, pena pecuniaria di 500 mila euro e 5 milioni di confisca alla controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione patteggiati dal vicepresidente Antonio Marcegaglia (fratello di Emma). Il padre Steno, invece, è stato condannato dal Tribunale di Brescia a 4 anni per la bancarotta Italcase-Bagaglino. Nello stesso processo di primo grado, sono stati condannati Roberto Colaninno (anche lui a 4 anni) e il banchiere Cesare Geronzi. E, guarda un po’, Colaninno è il nuovo presidente della nuova Alitalia, mentre Geronzi è indicato fra i grandi sponsor dell’operazione. Ma la cordata è impreziosita anche da un altro condannato in primo grado, il costruttore Marcellino Gavio (già arrestato nel ’93 per Tangentopoli, dopo mesi di latitanza all’estero, s’è appena buscato 6 mesi per violazione di segreto investigativo) e dal pregiudicato Salvatore Ligresti (2 anni e mezzo definitivi per Tangentopoli). Ora, espellere chi non denuncia il racket mafioso è un’ottima idea. Ma chi paga il pizzo in Sicilia, di solito, ha la lupara alla tempia. Chi paga mazzette in Lombardia no. Con che faccia la Confindustria caccia chi subisce il racket (e per la legge è vittima di un reato) e non chi sgancia tangenti (e per la legge è colpevole di un reato)? Sarebbe come se il ministro Gelmini denunciasse le promozioni facili al Sud e poi volasse a Reggio Calabria per dare l’esame da avvocato. Per dire.

Marco Travaglio - 14/09/08 - http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

mercoledì 3 settembre 2008

Il papabanner - by Il Burbero Scontroso

Oggi mi è successa una cosa strana, che mai mi sarei aspettato. Sono stato denunciato per il Papabanner e, come forse alcuni si sono accorti, esso è sparito da tutti i siti. E stavolta non per un server down qualche ora.
Ecco la storia, in forte ritardo vista la mia poco frequente comparsa su internet. Ringrazio il buon Marco per essersi subito indignato e aver sparso la voce (103 punti su OkNotizie non è male).

I DATI DI FATTO: da poco più di due anni faceva bella mostra di sè su questo blog un piccolo banner che avevo chiamato "Papabanner". L'avevo messo a disposizione di chiunque volesse copiarlo anche nel proprio sito, attraverso il codice html. Più di 500 siti da quel momento hanno sposato la mia modesta iniziativa, nata un po' per gioco.Il banner rappresentava Ratzinger (una foto originale, non manipolata), con una scritta che diceva "Il Papa condanna questo blog" o, in un'altra versione, "Sito scomunicato". I motivi di questo banner li spiegai in questa pagina. Mi sembra chiaro, a parte il tono ironico, il significato: il banner etichetta in modo goliardico il sito come un luogo in cui si esprimono opinioni (filosofiche, politiche, chiamatele come volete) DIFFORMI da quelle della Chiesa Cattolica (si parla quindi di semplice diritto di critica). Le posizioni della Chiesa sono rappresentate dal Papa, suo principale rappresentante, solo per sineddoche, non si tratta di un attacco personale.Il tono goliardico è dato dalle frasi. E' ovvio, che non si tratta di frasi da me falsamente attribuite al Papa col malizioso intento di spacciarle per vere ai poveri gonzi là fuori, nessun sano di mente credo arriverebbe a pensare questo. La ragione viene dai metodi da crociata (per non dire da inquisizione) con cui molti esponenti della Chiesa, come Bertone o Bagnasco, stigmatizzano senza mezzi termini ciò che non li compiace, dando delle assassine alle donne che abortiscono solo per dirne una delle più infami. Mi pareva simpatico autoscomunicarmi per il mio ateismo filosofico e il mio laicismo politico, e così inserirmi idealmente tra le persone invise alla Chiesa.
Insomma, per farla breve, questo Papabanner non voleva offendere nessuno e, anche sforzandosi, non credo si possa attribuirgli più significati di quelli esposti (che tra l'altro erano già ben spiegati a suo tempo nell'apposita pagina): diritto di critica e un po' di ironia. Se uno invece è d'accordo col Papa, perfetto, che non si prenda il banner, non c'è bisogno di insultarmi come molti hanno fatto, attaccandomi personalmente, offendendo me e i miei congiunti. Dei veri cristiani!Per farla ancora più breve, qualcuno mi ha denunciato per questo. E il Papabanner è sparito.

I FATTI NON ACCERTATI: Non so bene cosa sia successo. Quello che so è che oggi mi ha chiamato una persona che si occupa della gestione dell'hosting su cui si trovava il banner, dicendomi che la polizia li aveva contattati, parlando di una denuncia, e che mi avevano bloccato lo spazio web, oscurando perciò il banner. Lì per lì sono rimasto basito, non sono riuscito a fare una serie di domande che mi si sono accavallate nella mente solo dopo, l'unica cosa di cui sono riuscito a discutere era che reato mi si contestava, dato che ci vuole del buono per cavare un insulto dal banner, figuriamoci un reato. Il tizio è stato comprensivo "eh, guardi, in effetti anche per me...".Ciò che ora mi chiedo è: è la polizia che ha chiesto all'hosting di bloccarmi? Non mi pare probabile. Quello che mi pare più probabile è che la polizia li abbia contattati, avvisandoli del fatto che c'era una denuncia a carico di uno che usava quello spazio e, tra il vedere e il non vedere, abbiano deciso di bloccarmi per evitare di passare eventuali casini. I cagasotto. Ma questa fantomatica denuncia non è arrivata a me, la polizia non si è ancora fatta sentire, quindi suppongo e spero che vi si siano fatti una risata su e l'abbiano scaricata nel cesso. Dubito infatti che la cosa avrà seguito, almeno da parte della polizia, mi sembrerebbe strano. Se fosse così semplice sbarazzarsi dei siti che non ci piacciono saremmo tutti lì a denunciare il sito che insulta Berlusconi, Prodi, Veltroni, Bush (e per ognuno di questi ce n'è a pacchi, anche di pesantissimi) o qualunque capo di stato ci stia simpatico, ottenendone immediatamente l'oscuramento. Ricordo che ci sono fior di siti che danno del nazista a Ratzinger! Perchè non denunciare quelli?Ad ogni modo che ci siano dei mitomani che non hanno altro da fare se non denunciare chi non gli piace, mi pare piuttosto grave. Mi piacerebbe molto sapere nome e cognome, ma non credo che la polizia me li darà.

L'IMMEDIATO FUTURO: Domani mattina cercherò di chiamare la Polizia Postale e nuovamente quelli dell'hosting per capire di più della situazione.Ad ogni modo il Papabanner risorgerà. Penso che lo sposterò su un sito oltreoceano, gli darò una pagina dedicata al di fuori del blog e manderò una mail a tutti quelli che lo avevano, per segnalargli il nuovo banner. Ho in mente anche alcune altre cosette, come un contest di grafica per creare i nuovi Papabanner e altro.Grazie a tutti quelli che hanno supportato il Papabanner, non abbandonatelo, risorgerà dalle sue ceneri!

17/08/08 -
http://burbero.splinder.com/post/17834222/Denuncia+per+il+Papabanner

sabato 30 agosto 2008

Compagnia di bandierina - di Mario Deaglio - La Stampa

Il tentativo di sistemazione di Alitalia, condotto dall’attuale governo, presenta caratteri di novità nel panorama della politica industriale italiana e va quindi analizzato prima in un contesto istituzionale e poi al livello del settore e dell’impresa. Il precedente governo aveva seguito inizialmente una procedura da manuale anglosassone: aveva indetto una vera gara internazionale per la vendita della propria quota in Alitalia, sollecitando manifestazioni di interesse poi trasformatesi in un’unica offerta concreta, quella di Air France. A questo punto, dall’empireo della finanza globale si passò bruscamente a un tipico scenario italiano: Air France fu chiamata a incontrare il sindacato per quella che riteneva poco più di una semplice illustrazione e che il sindacato, con incredibile e colpevole miopia, considerava invece punto di partenza della trattativa «vera» per spuntare un netto miglioramento dell’offerta. Non ci si deve meravigliare che Air France sia scappata, lasciando Alitalia senza prospettive, senza amici, con perdite di un milione di euro al giorno che il governo tamponò - ossia mise a carico di tutti gli italiani - con un ingente prestito ponte, di dubbia legittimità europea.

In campagna elettorale, l’attuale presidente del Consiglio si impegnò solennemente, forse con un po’ di demagogia, a trovare una soluzione privata e italiana al problema Alitalia, giocando sul tasto dell’irrinunciabilità a una «compagnia di bandiera».

Si è realizzato così, dopo molti anni, un intervento «pesante» dello Stato per pilotare la ristrutturazione del settore, facendo leva su imprese nazionali e puntando comunque alla fusione operativa tra Alitalia e Air One, la seconda compagnia aerea nazionale. L’attuale governo ripete in tal modo, con qualche variante, la politica francese di ristrutturazione seguita per l’aeronautica, l’elettronica e per lo stesso settore dei trasporti aerei: il libero mercato è solo un ricordo, sostituito da una concertazione di interessi. Il governo di centro-destra si dimostra più «socialista», ossia più interventista, di quello di sinistra-centro.

Da una gara aperta a livello internazionale si è così passati a trattative private rigidamente limitate e assai poco trasparenti. Anche così, ci sono voluti molti mesi e molti sforzi per «convincere» una quindicina di imprenditori italiani a costituire una «cordata» e mettere assieme una somma relativamente modesta - un miliardo di euro -, comunque insufficiente a una vera politica di rilancio di Alitalia. È quindi ragionevole pensare che questa «cordata» sarà sostenuta da un forte credito bancario; essa potrebbe inoltre andare incontro a forti obiezioni europee per il possibile conflitto di interessi di alcuni dei partecipanti alla «cordata» in quanto gestori di servizi pubblici in potenziale competizione con i servizi aerei di Alitalia. L’attuale tentativo di soluzione mostra comunque una netta discontinuità, rispetto al passato recente, non solo per il suo allontanamento dal mercato, ma anche per i nuovi rapporti governo-grandi imprese e per l’esclusione delle forze sindacali dalle decisioni-chiave: a loro è riservata una trattativa successiva per la sola sistemazione dei lavoratori in esubero.

Ben difficilmente la soluzione ieri delineata eviterà di porre le perdite di Alitalia a carico della collettività: la separazione della «polpa» di Alitalia (in sostanza la posizione dominante nel traffico aereo sulle principali rotte italiane e soprattutto sulla Milano-Roma) dal suo «osso» (un mare di debiti e di dipendenti in esubero confluiti in una nuova società pubblica) è la premessa perché quest’osso influisca in maniera negativa e piuttosto pesante sui conti pubblici, il che, del resto, è successo in altri salvataggi del passato, come quello del Banco di Napoli. È dubbio che essa favorisca davvero lo sviluppo del Paese, non dovrebbe essere in ogni caso salutata con toni trionfalistici.

La «polpa», del resto, se produrrà utili, lo farà solo tra alcuni anni. Nessuno dei partecipanti alla cordata ha una «vocazione» al trasporto aereo e quanto è stato reso noto del piano industriale è piuttosto vago e non appare molto convincente. La nuova Alitalia sarà una compagnia aerea molto ridimensionata, quasi una «compagnia-bonsai», priva di un punto centrale (hub), senza vere prospettive di crescita fuori dall’Italia. Per questo è ragionevole supporre che il piano ora presentato sia solo un abbozzo, sulla base del quale negoziare più ampie intese con qualcuno dei veri «grandi» del trasporto aereo europeo; non a caso, Air France si è già rifatta ufficialmente avanti e potrebbe ottenere i risultati che si proponeva qualche mese fa - ossia l’integrazione di Alitalia nel proprio sistema globale - a un costo molto inferiore al previsto, risultando il vero vincitore di quest’operazione. La «bandiera» italiana di questa compagnia, in nome della quale si è condotta questa complicata operazione, potrebbe risultare una «bandierina», - secondo l’espressione usata ieri dal capo dell’opposizione - e per di più italo-francese.

La prospettiva più probabile è quella della continuazione di un’ulteriore, lenta riduzione della presenza di Alitalia sulla scena europea, insufficientemente compensata da una ragguardevole presenza iniziale sul mercato nazionale.


Mario Deaglio - 30/08/08 - http://www.lastampa.it/

venerdì 29 agosto 2008

Colaninn'Alitalia

Roberto Colaninno s'immola per risolvere l'affare Alitalia...
A leggere l'intervista che oggi ha rilasciato a Ezio Mauro su "La Repubblica" sembra proprio che il senso di dovere e di sacrificio non gli manchino. Un campione d'altruismo che durante l'intervista infatti confessa anche (bontà sua) che non ha avuto nessun beneficio nemmeno quando ha guidato la Telecom... Ma davvero?? Mi riesce veramente molto difficile crederlo.
Facciamola finita, per favore.
Certo se la situazione dell'Alitalia è quella odierna la colpa non è sua; è una delle solite storie italiane dove a pagare è sempre il popolino: assunzioni politiche ce ne sono state in Alitalia o no? Una gestione dissennata ci sarà stata o no? Un diffuso menefreghismo di molti governi durato per lunghi anni c'è stato oppure no? E chi pagherà tutto questo sfascio? E'altrettanto chiaro oppure no? L'uomo è in visibile difficoltà: deve assolutamente giustificare in qualche modo epico la sua impresa: addirittura si sente veramente scosso dalle implicazioni sociali che questa operazione avrà; è in serio imbarazzo, poverino. E addirittura dice: "E'un dovere salvarla, è una bandiera nazionale, si chiama come il mio Paese, non conta chi mi ha chiamato a questo sacrificio". Come Riccardo Cuor di Leone, si va alle crociate per Nostro Signore, ma se nel frattempo si colonizza, ci si arricchisce, si scannano e si defraudano altre popolazioni non conta nulla. Quando Ezio Mauro gli fa notare che è un privilegio salvare un'azienda addossando tutti i conti in rosso e tutto il personale in eccesso allo stato, garantendogli protezione sulle rotte più proficue, lavorando -in sintesi- solo sulla parte "buona" di Alitalia e magari tra qualche anno rivenderla con qualche ottimo guadagno, allora infatti il tono cambia: dice Mauro:"Non è un privilegio ottenere degli utili scaricando i costi sullo stato?" Risponde Colaninno Cuor di Leone: "Dello Stato abbiamo già parlato. Quanto ai privati, che vendano secondo convenienza fa parte della logica di mercato. Non sfruttiamo il pubblico, cogliamo un'opportunità di mercato, ma attenzione: il risultato sarà dato da quell'opportunità più le nostre capacità e il nostro impegno. Colgo una sfida, mi metto in gioco, seguo la mia etica e pago le tasse. Se a un certo punto vendo perché mi conviene, mi dica, perché no"?
Come dicevano i romani 2000 e passa anni fa? Pecunia non Olet?
E allora perchè il buon Colaninno si ostina a spacciare per amor patrio ed altruismo un banale (e comprensibilissimo, si badi) interesse per i soldi che deriveranno dal "salvataggio" della compagnia di bandiera? E dalle manovre sui terreni limitrofi agli aereoporti? E dalla gestione delle società aeroportuali? La risposta di Colaninno è a dir poco surreale: "Provo a dirlo in modo semplice: la responsabilità. Se fai l'imprenditore, una sfida come questa ti chiama, come un dovere. La proposta è di Berlusconi? Ma lui è il capo del governo, e al governo l'hanno mandato gli italiani. Delle due l'una: o vado via da questo Paese, o ci rimango e provo a fare la mia parte, quel che so fare e che mi piace anche."
Anche io ho un'attività commerciale, ma non per questo lo Stato si accolla i miei debiti, i miei dipendenti nè mi protegge in alcun modo.
C'è un unica risposta al fatto che Colaninno resti in Italia: solo in questo paese poteva capitargli un'occasione del genere.
E c'è un'unica risposta anche al fatto che anche io resti ancora in Italia: sono un cretino!!!
Amen!!

giovedì 28 agosto 2008

Who's Silvio Berlusconi (Censurato) 1/5

Who's Silvio Berlusconi (Censurato) 2/5

Who's Silvio Berlusconi (Censurato) 3/5

Who's Silvio Berlusconi (Censurato) 4/5

Who's Silvio Berlusconi (Censurato) 5/5

Il gioco dell'oca - di Eugenio Scalfari

LA SOLUZIONE dell'"affaire" Alitalia (che è stata formalizzata ieri) non è una bufala. Si chiama con questo termine figurato la vendita di una patacca, una truffa in piena regola. Invece la soluzione Alitalia è un'altra cosa: un imbroglio politico che cerca di far passare con una diversa apparenza e in condizioni peggiori la stessa sostanza che era stata già concordata nello scorso mese di marzo con Air France.
Insomma un'operazione d'immagine che costerà ai contribuenti italiani un miliardo di euro come minimo, più il costo sociale degli esuberi, cioè dei licenziamenti che saranno più del doppio e poco meno del triplo di quanto sarebbe avvenuto in marzo.

Cinque mesi fa l'ipotesi accettata dal capo di Air France, Jean-Cyril Spinetta, ma furiosamente osteggiata da Berlusconi, da Fini e dai sindacati, prevedeva duemila esuberi, altri quattromila dipendenti sarebbero stati parcheggiati in una società di proprietà dello Stato con la prospettiva che almeno metà di loro sarebbe stata riassorbita entro cinque anni. La società si sarebbe fusa nel gruppo Air France-Klm conservando il suo marchio, gran parte del personale e gran parte delle rotte e acquisendone altre per destinazioni internazionali. La flotta sarebbe stata rinnovata gradualmente poiché la consistenza della flotta Air France-Klm insieme agli aerei Alitalia era in grado di far fronte ai previsti incrementi di passeggeri e di merci nei prossimi anni.

All'epoca in cui queste trattative erano sul punto di chiudersi il prezzo del petrolio, già molto alto rispetto ad un anno prima, quotava 80 euro al barile. Sono stati persi cinque mesi da allora ed oggi la trattativa si è svolta con il barile di greggio a 115 euro. Alitalia era sostanzialmente fallita già cinque mesi fa ma si poteva risollevare senza commissariamento e a condizioni migliori per il Paese e per il Tesoro. Oggi dovrà inevitabilmente passare per il commissariamento, le condizioni per la nascita della "nuova Alitalia" costeranno inevitabilmente di più alla collettività senza cambiare di un ette la sostanza: una compagnia di fittizia bandiera che si avvia a diventare una branca di un gruppo controllato e gestito da una compagnia di altra nazionalità.

A quest'operazione d'immagine partecipano una decina di imprenditori italiani e tre o quattro banche tra le quali Banca Intesa e forse Mediobanca. Non si tratta però di "capitani coraggiosi" come alcuni giornali li hanno affrettatamente chiamati. Si tratta di capitalisti che sanno il fatto loro e che hanno patteggiato il loro ingresso nel capitale di Alitalia con contropartite di notevole interesse.
Ho detto che non è una bufala ma un imbroglio. Non saprei definirlo diversamente.

* * *
La prima constatazione (non si tratta di un'opinione ma di un fatto) è la situazione patrimoniale della "bad company" cioè della vecchia Alitalia, del vecchio e logoro osso che resterà in mano al Tesoro, cioè allo Stato, cioè a tutti noi contribuenti. Come è noto il patrimonio si compone di poste attive e di poste passive. Queste ultime ammontano nel caso Alitalia ad oltre un miliardo di euro perché tanti sono i suoi debiti. Ma in più ci saranno da gestire da cinque a seimila esuberi e forse più. Questa gestione ha un costo sociale e un costo finanziario. Quello sociale riguarda le persone e le famiglie che passeranno dallo stipendio alla Cassa integrazione e poi al licenziamento. Per di più si tratta quasi interamente di persone e famiglie concentrate a Roma, il che rende ancora più pesante l'impatto sociale della crisi.

Il costo finanziario dipenderà da eventuali "finestre" di pre-pensionamenti e dalla possibilità di alcune categorie di creditori di sottrarsi agli effetti del commissariamento pretendendo e ottenendo il pagamento integrale di quanto ad essi dovuto. Tra questi i fornitori di carburante i quali potranno adire il tribunale e ottenere una posizione privilegiata minacciando altrimenti di non rifornire la flotta Alitalia impedendone in questo modo il decollo.
C'è poi da considerare la sorte dei 300 milioni che nello scorso aprile furono conferiti dal Tesoro all'Alitalia per assicurarne la sopravvivenza. Quei soldi furono poi messi a patrimonio con la clausola che sarebbero stati restituiti al Tesoro nei tre mesi successivi all'avvenuto risanamento della società.
Saranno restituiti? Sarebbe una partita di giro, dalla "bad company" al Tesoro stesso. Quindi impraticabile perché inutile. Oppure non saranno restituiti, nel qual caso assumerebbero la natura di un aiuto di Stato e come tale impugnabile dalla Commissione europea dinanzi alla Corte di giustizia dell'Ue. Oppure ancora qualche banca o fondazione compiacente dovrebbe assumersi l'onere di rimborsare il Tesoro. Un samaritano che porti la croce. Ce ne sono in giro? Io non ne vedo. Se ci fossero sarebbero pazzi. Oppure furbi di quattro cotte che darebbero trecento per ottenere di ritorno in altri modi almeno il doppio. Staremo a vedere. Il nostro compito di giornalisti è appunto quello d'informare il pubblico. Non mancheremo di farlo.

* * *
I capitani coraggiosi. Vorrei cominciare dal gruppo Benetton per una ragione molto semplice: il responsabile operativo della famiglia e del gruppo di Ponzano Veneto rilasciò tempo fa un'intervista assai significativa, virgolettata e rivista dall'intervistato. Il giornalista che l'intervistava affacciò il dubbio che la contropartita d'una partecipazione dei Benetton al salvataggio Alitalia fosse già stata ottenuta con le ottime condizioni alle quali lo Stato aveva rinnovato la concessione delle autostrade al gruppo di Ponzano. Ma l'intervistato replicò che no, la partita delle autostrade non aveva alcun nesso con il salvataggio dell'Alitalia; le condizioni della concessione rinnovata non erano affatto un favore ma un'equa pattuizione. E va bene, sarà certamente così.

Il caso Alitalia era invece diverso. I Benetton non hanno alcun interesse a partecipare ad una compagnia di trasporto aereo. Possono metterci qualche spicciolo se proprio serve a salvare l'immagine politica, ma il loro interesse è un altro. I Benetton sono da tempo diventati costruttori di opere pubbliche: l'attuale aeroporto di Fiumicino l'hanno fatto le loro imprese. È un sito studiato per ospitare 30 mila passeggeri al giorno. Ma ora le previsioni per i prossimi vent'anni richiedono un aeroporto da 60 mila passeggeri in transito giornaliero. Perciò bisogna ricostruire Fiumicino nell'ambito di un progetto che ne faccia un "hub" mediterraneo. Ecco: i Benetton puntano su questo obiettivo. Non sono mica molliche.

Naturalmente, se la previsione d'un aeroporto da 60 mila transiti è corretta, non c'è assolutamente nulla di male a mettere in gara l'opera pubblica. Una trattativa privata senza concorrenti sarebbe uno strappo non da poco. Ma Tremonti è capace di questo e di altro nell'ambito di una strategia di Stato-padrone e di primazia della politica.
Però c'è un altro problema che lo stesso Benetton sollevò in quell'intervista: le tariffe da applicare alle compagnie di trasporto per utilizzo dell'aeroporto e, tra queste, in particolare le tariffe della compagnia di fittizia bandiera. Mi domando se non ci sia un conflitto di interessi tra un Benetton gestore dell'aeroporto e un Benetton azionista di Alitalia.

* * *
Di Ligresti si sanno molte cose e molte altre si intuiscono. Costruirà non so quanti milioni di metri cubi connessi (insieme alle circostanti aree) con l'Expo di Milano. Guida un gruppo gigantesco, immobiliare, finanziario, assicurativo. Sta nel sindacato di Mediobanca e come tale allunga l'occhio anche sul Corriere della Sera. Metterà una cinquantina di milioni anche in Alitalia. Per lui sono spiccioli e possono venir buoni con tanta terra al sole. E poi la sua banca di riferimento non è Intesa-Sanpaolo? È opportuno rendersi utili a chi finanzia i propri affari, accade da che mondo è mondo.

Conosco poco gli altri neo-azionisti della nuova Alitalia e quindi mi guardo bene dal formulare su di loro pensieri maliziosi. Ma una cosa va detta e vale per tutti: questi capitani coraggiosi giocano in realtà sul velluto perché hanno giustamente messo come condizione "sine qua non" la presenza nella combinazione d'un grande vettore internazionale. Poiché hanno ora accettato che i loro nomi siano resi pubblici se ne deve dedurre che l'accordo con il vettore straniero sia già stato fatto o sia comunque in avanzata trattativa.

Sappiamo che quando l'accordo sarà ufficializzato risulterà che lo "straniero" avrà il controllo azionario e la gestione della compagnia. È immaginabile e verosimile.
Secondo le informazioni che ho in proposito gran parte dei capitani coraggiosi si propongono di vendere allo "straniero" o sul mercato le loro quote azionarie quando l'accordo sarà diventato operativo. Dal che deduco che una rete di sicurezza i capitani coraggiosi ce l'hanno.
Arriva all'ultim'ora la notizia che Air France ha convocato il suo consiglio d'amministrazione per giovedì ed ha riaperto il dossier Alitalia. Spinetta chiederà anche di incontrarsi con Passera.
A pensarci bene è stato proprio un gioco dell'oca. Cinque mesi dopo torna l'ipotesi di tornare al punto di partenza in condizioni assai peggiori di prima.

* * *
Poiché in quest'operazione compare più volte il nome di Mediobanca, converrà spendere qualche parola su questo leggendario istituto che ha movimentato la storia finanziaria d'Italia dal 1947 ad oggi attraversando anche in casa propria alcune agitate, vicende come del resto accade nelle migliori famiglie. Finora le vicende "domestiche" di piazzetta Cuccia sono sempre finite bene e ci auguriamo che sia sempre così. Non altrettanto si può dire di quelle che Mediobanca ha patrocinato. Alcune a lieto fine altre a fine triste o tristissimo, a cominciare dalla guerra chimica ai tempi della Edison e della Bastogi per arrivare alla Montedison di Cefis e a quella dei Ferruzzi e dei Gardini e per finire con Pirelli e Telecom.
Che sta accadendo adesso a Mediobanca?
È in corso uno scontro molto duro. A volerlo personalizzare i protagonisti sono tre: Geronzi, Profumo, Nagel. Il primo è il presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca dopo aver guidato per molti anni il Banco di Roma che si fuse circa due anni fa con Unicredit; il secondo è l'amministratore delegato di Unicredit; il terzo è l'amministratore delegato del consiglio di gestione dell'Istituto di piazzetta Cuccia (un tempo si diceva via Filodrammatici perché Enrico Cuccia era ancora vivo).
Al momento della fusione del Banco di Roma con Unicredit si pose il problema di trovare una posizione adeguata per Cesare Geronzi che altrimenti sarebbe rimasto disoccupato. Geronzi non è uno che vada in pensione; si può tranquillamente scommettere che morirà (spero il più tardi possibile) lavorando. Banco di Roma e Unicredit possedevano circa il 9 per cento ciascuno del capitale di Mediobanca, in totale il 18 per cento, cioè la maggioranza assoluta nel patto di sindacato. A quel punto Profumo decise di vendere metà della partecipazione restando con il 9 per cento. Decise anche di affidare a Geronzi la presidenza dell'istituto ma per non essere troppo generoso optò per una "governance" duale, dando all'ex presidente del Banco di Roma la guida del consiglio di sorveglianza e insediando alla testa del consiglio di gestione il capo del management di piazzetta Cuccia, Nagel.

Un equilibrio perfetto, almeno sulla carta. Ma non era pensabile che Geronzi si contentasse a lungo di fare il padre nobile. Passato poco più di un anno è entrato infatti in agitazione chiedendo che la governance di Mediobanca tornasse dal sistema duale a quello "monale" e rivendicandone la presidenza operativa.
Profumo non è d'accordo ma è molto prudente, anche lui ha i suoi guai e non da poco. Nagel non è d'accordo neppure lui, ma Geronzi è in maggioranza nel sindacato e nell'assemblea degli azionisti. Dalla sua parte c'è Mediolanum, Ligresti, Generali, i francesi, insomma il grosso degli azionisti. Soprattutto ha l'appoggio politico di Berlusconi.

Ma Nagel e Profumo sono tuttora contrari. Se decideranno di battersi possono raggruppare un terzo dei voti nel sindacato azionario: una minoranza di blocco che riproporrebbe una conduzione duale all'interno di una "governance" unificata.
Infine c'è un'ultima incognita. Geronzi è stato rinviato a giudizio e addirittura condannato in primo grado per alcuni reati di cospicua gravità in materia finanziaria e bancaria. In tempi normali tutto ciò avrebbe determinato automaticamente le dimissioni del rappresentante legale di una banca e in tal senso esiste da tempo una circolare di indirizzo della Banca d'Italia. Ma oggi, lo sappiamo, non siamo in tempi normali. Mi domando però se questa posizione resterà ferma anche nel momento in cui il processo avrà inizio. Ogni previsione è azzardata ma una cosa è certa: la scelta dipenderà in larga misura da Draghi. È una partita cui sarà molto interessante assistere per raccontarla a dovere.

Eugenio Scalfari - 27/08/08 - www.repubblica.it

venerdì 8 agosto 2008

Una domanda - by Augusto Druso

Una sola domanda mi nasce spontanea, nella nostra nuova "democrazia": non sarà che l'esercito nelle strade, dietro la bufala della sicurezza, è stato già dispiegato per fronteggiare una probabile protesta popolare che potrebbe levarsi dal prossimo autunno?

Augusto Druso

Strage di Bologna: il depistaggio palestinese - di Germano Monti -

Per una Destra che non vuole solo governare, ma procedere ad una profonda ristrutturazione dell’assetto istituzionale del Paese, ripulire l’album di famiglia dalle immagini più imbarazzanti è una necessità. In altre parole, voler riscrivere la Costituzione repubblicana e antifascista richiede ineluttabilmente la riscrittura della propria storia politica… naturalmente, se si è o si è stati fascisti.Lo stragismo rappresenta sicuramente la pagina più nera della storia italiana contemporanea, con il suo intreccio perverso fra manovalanza fascista, apparati – più o meno occulti - dello Stato e interferenze atlantiche. Fra tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia, quella alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 è stata la più feroce, ed anche l’unica in cui è stata raggiunta una verità giudiziaria, con la condanna definitiva dei fascisti Ciavardini, Fioravanti e Mambro. La verità giudiziaria non coincide sempre e comunque con la realtà effettuale, e l’esercizio della critica anche nei confronti delle sentenze della magistratura è assolutamente legittimo, in certi casi persino doveroso, e questo vale anche per le sentenze sulla strage di Bologna. Tuttavia, quello che sta avvenendo non ha molto a che vedere con il garantismo e l’esercizio del diritto di critica, quanto con un tentativo di revisionismo storico particolarmente straccione, dettato dall’opportunità della contingenza politica.I critici attuali delle sentenze sulla strage di Bologna non si limitano, come avveniva alcuni anni or sono, a rilevare quelle che per loro sono incongruenze degli investigatori e dei giudici, ma si spingono ad affermare che quelle incongruenze servirono – e servono tuttora – a coprire un’altra verità, sulla quale non si è voluto indagare. Questa “verità” consisterebbe nel coinvolgimento della resistenza palestinese, ed in particolare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, nella strage, coinvolgimento che sarebbe stato tenuto nascosto in virtù dei patti intercorsi fra i governanti e i servizi segreti italiani di allora con i Palestinesi stessi. Il sostenitore più autorevole di questa tesi è l’ex Presidente Cossiga, cui si sono aggiunti i più alti esponenti della Destra ex fascista, fino all’attuale Presidente della Camera, Gianfranco Fini e, ancora più esplicitamente, l’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sui cui trascorsi squadristi esiste una vasta letteratura. Nel ventottesimo anniversario della strage, è proprio Alemanno, intervistato da la Repubblica, il più esplicito nel sostenere che quella della colpevolezza dei suoi ex camerati sia una “verità comoda”, mentre “c'è un'altra pista, quella del vecchio terrorismo palestinese, che soltanto da poco si è cominciata a esplorare”, pista rispetto alla quale “ci sono una marea di riscontri”. Nell’intervista, poi, Alemanno ripropone un vecchio cavallo di battaglia dell’estrema destra, quello secondo cui “Nei '70 ci fu una guerra civile strisciante che peraltro cominciò dal maledetto slogan "Uccidere un fascista non è reato", urlato da vari gruppi dell'estrema sinistra che, falliti i loro obbiettivi rivoluzionari, decisero di convogliare tutta la loro energia nell'antifascismo militante. Suscitando ovviamente delle reazioni altrettanto dure da parte dell'estrema destra. E ciò fu un incubatore sia delle Br sia dei Nar”. E’ una vecchia tesi, cara agli squadristi fascisti e ai terroristi dei Nar; una smaccata bugia, ma qualcuno che Alemanno certamente conosce bene diceva: «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità», specialmente se a ribadirla sono alte cariche istituzionali, come un ministro della propaganda ieri o un sindaco oggi.Dunque, la strage di Bologna non fu opera di terroristi neri, bensì di Palestinesi. A sostegno di questa ipotesi, sia Alemanno che altri (fra i quali anche Andrea Colombo, ex giornalista del Manifesto ed ora di Liberazione) invitano ad indagare a fondo sulle dichiarazioni del guerrigliero venezuelano conosciuto come “Carlos”, detenuto in Francia, e, più in dettaglio, sulla presenza a Bologna, il giorno della strage, di Thomas Kram, cittadino tedesco attualmente detenuto nel suo Paese con l’accusa di appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie.Per quanto riguarda “Carlos”, l’intervista da lui rilasciata all’ANSA lo scorso 30 giugno, per il tramite del suo avvocato italiano, in realtà riguarda in massima parte il sequestro di Aldo Moro e quello che, a suo dire, fu un tentativo di mediazione dell’OLP, insieme ad una parte dei servizi segreti italiani, per ottenere la liberazione del presidente democristiano. Dopo aver fornito il suo punto di vista sulle contraddizioni esistenti fra diverse fazioni dei servizi italiani e su altre vicende di quegli anni, “Carlos” risponde alla domanda esplicita dell’intervistatore, Paolo Cucchiarelli, in merito alla strage di Bologna:
Domanda:
Una sola domanda sulla strage di Bologna visti i molti riferimenti fatti da lei nel tempo e che sembrano alludere ad una ipotesi da lei mai espressa ma che potrebbe essere alla base delle sue osservazioni. Cioè agenti occidentali che fanno saltare in aria - con un piccolo ordigno - un più rilevante carico di materiale esplodente trasportato da palestinesi o uomini legati all’Fplp e alla sua rete con l’intento di far ricadere su questa ben diversa realtà politica tutta la responsabilità della strage alla stazione.
Risposta:
L’attentato contro il popolo italiano alla stazione di Bologna “rossa”, costruita dal Duce, non ha potuto essere opera dei fascisti e ancora meno dei comunisti. Ciò è opera dei servizi yankee, dei sionisti e delle strutture della Gladio. Non abbiamo riscontrato nessun’altra spiegazione. Accusarono anche il Dottor Habbash, nostro caro Akim, che, contrariamente a molti, moriva senza tradire e rimanendo leale alla linea politica del FPLP per la liberazione della Palestina. Vi erano dei sospetti su Thomas C., nipote di un eroe della resistenza comunista in Germania dal febbraio 1933 fino al maggio 1945, per accusarmi di una qualsiasi implicazione riguardo ad un’aggressione così barbarica contro il popolo italiano: tutto ciò è una prova che il nemico imperialista e sionista e le sue “lunghe dita” in Italia sono disperati, e vogliono nascondere una verità che li accusa.
Insomma, “Carlos” non solo smentisce la “pista palestinese”, ma accusa direttamente gli apparati occulti americani, israeliani ed italiani di aver ordito e realizzato la strage. Il fatto che escluda anche la responsabilità dei fascisti, con la bizzarra postilla della stazione “costruita dal Duce”, non significa altro che il rafforzamento della sua convinzione di una pista internazionale, ma nella direzione opposta a quella indicata da Cossiga, Fini e Alemanno, da una parte, e da Andrea Colombo dall’altra. Del resto, in tutta la storia dello stragismo e dell’eversione nera, l’intreccio fra il sottobosco neofascista e apparati interni ed internazionali, particolarmente statunitensi, è sempre emerso con grande puntualità. Non si capisce, quindi, come le parole del detenuto nel carcere di Poissy possano essere utilizzate per dimostrare il contrario di ciò che dicono… ma questo bisognerebbe chiederlo ad Alemanno ed a quelli come lui. Sempre alle stesse persone, e ad un gran numero di giornalisti, bisognerebbe chiedere anche perché continuino a presentare in termini tanto misteriosi la figura di Thomas Kram, quasi che di lui non si sappia nulla, se non che da qualche tempo si trova nelle carceri tedesche. Ebbene, già nel giugno dello scorso anno, Saverio Ferrari si è occupato della pista palestinese e di Kram, in un suo articolo su “Osservatorio Democratico sulle nuove destre” dedicato al libro scritto da Andrea Colombo sulla strage di Bologna, libro accusato – per inciso – di voler accreditare l’innocenza di Mambro, Fioravanti e Ciavardini “omettendo deliberatamente le carte giudiziarie più scomode”.A proposito della “pista palestinese” Ferrari scrive: “Colpisce, infine, l’ultimo capitolo in cui, si rilancia la stessa fantomatica pista palestinese sulla quale da qualche anno alcuni deputati di Alleanza nazionale si affannano, millantando la presenza del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, o di suoi uomini, a Bologna, in veste di stragisti al servizio del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habbash. È più che noto, infatti, che già all’epoca, non solo recentemente, si appurò che il terrorista Thomas Kram, esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, fosse presente a Bologna nella notte fra tra l’1 e il 2 agosto, alloggiando nella stanza 21 dell’albergo Centrale di via della Zecca. Presentò nell’occasione la sua patente di guida non contraffatta. Fu precedentemente fermato e identificato al valico di frontiera sulla base di un documento di identità valido a suo nome. Non era al momento inseguito da alcun mandato di cattura. La questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all’Ucigos che già in quei giorni conosceva tutti i suoi spostamenti. Un terrorista stragista, dunque, non in incognito che viaggiava e pernottava in albergo con documenti a proprio nome (!). Una pista vecchia, già archiviata data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram e la strage. Per altro Kram risultò non aver mai fatto parte dell’organizzazione di Carlos. (…)”.Ma c’è di più: il 2 agosto del 2007, proprio sul quotidiano in cui Andrea Colombo ha lavorato per anni, il Manifesto, il suo collega Guido Ambrosino pubblica un lungo articolo dal titolo “Bologna, l’ultimo depistaggio”, in cui il misteriosissimo Thomas Kram – a Berlino in libertà provvisoria, dopo essersi costituito nel dicembre 2006 - si lascia tranquillamente intervistare. Dall’intervista di Guido Ambrosino: “«Ho scoperto su internet che la bomba potrei averla messa io. Un'assurdità, sostenuta addirittura da una commissione d'inchiesta del parlamento italiano, o meglio dalla sua maggioranza di centrodestra, nel dicembre 2004. Deputati di An, e altri critici delle sentenze che hanno condannato per quella strage i neofascisti Fioravanti e Mambro, rimproverano agli inquirenti di non aver indagato sulla mia presenza a Bologna». Per Kram è una polemica pretestuosa: «Non sono io il mistero da svelare. Non lo credono nemmeno i commissari di minoranza della Mitrokhin. Viaggiavo con documenti autentici. La polizia italiana mi controllava, sapeva in che albergo avevo dormito a Bologna, il giorno prima mi aveva fermato a Chiasso. Come corriere per una bomba non ero proprio adatto»”. L’articolo e l’intervista demoliscono l’impianto del libro di Colombo e, più in generale, la “pista palestinese”, anche con alcuni particolari che, se non si trattasse di fatti tanto drammatici, indurrebbero al sorriso. Secondo Ambrosino, il lavoro di Colombo “si riduce a un paio di forzature”, particolarmente per quanto riguarda la latitanza di Kram, che – secondo Colombo – sarebbe durata ben 27 anni, cioè dal 1979, quando lo stesso Kram è invece sempre stato reperibile almeno fino al 1987, quando contro di lui viene spiccato un mandato di cattura per appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie. Nella pista palestinese sarebbe coinvolta anche un’altra militante dell’estrema sinistra tedesca, Christa Frolich, che – secondo la testimonianza di un cameriere di albergo – lavorava come ballerina nei pressi di Bologna e il primo agosto 1980 si sarebbe fatta portare una valigia alla stazione di Bologna, mentre il 2 agosto avrebbe telefonato (parlando italiano con accento tedesco) per accertarsi che i suoi figli non fossero stati coinvolti nell’esplosione. Scrive Ambrosino: “Christa Fröhlich ha ora 64 anni, insegna tedesco a Hannover. Confrontata con questa descrizione, non sa se ridere o piangere: «Non ero a Bologna. Non ho figli. Mai un ingaggio da ballerina. E nel 1980 non sapevo una parola di italiano»”. Se pensiamo che uno dei cardini principali della “pista palestinese” è costituito dai lavori della “Commissione Mitrokhin”, anche noi non sappiamo se ridere o piangere. Addirittura nel dicembre 2005, sull’Espresso, l’operato di quella Commissione veniva già definito come “L'ennesimo polverone. Per far riaprire l'inchiesta sulla strage di Bologna e riabilitare gli estremisti di destra Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già condannati per l’attentato”. Dal medesimo articolo si apprende anche, peraltro, che le stesse risultanze della Commissione Mitrokhin escludevano ogni coinvolgimento di Thomas Kram nella strage di Bologna.La domanda, a questo punto, è: perché, contro ogni evidenza ed ogni riscontro, in questo agosto 2008 c’è chi tenta di riciclare vecchie bufale, magari contando sui riflessi appannati di un’opinione pubblica martellata da campagne sulla “sicurezza” minacciata da zingari ed immigrati, tanto da richiedere paracadutisti, alpini e bersaglieri per le strade delle nostre città? Probabilmente, la risposta è nella premessa: per mettere mano alla Costituzione, la Destra ha bisogno di svecchiare i propri armadi, facendone opportunamente sparire gli scheletri di troppo. Lo scheletro più ingombrante è senza dubbio quello datato 2 agosto 1980, rimosso il quale sarà assai più semplice rimuovere tutti gli altri… si, perché,se si riesce a convincere, contro ogni evidenza storica e giudiziaria, che la strage di Bologna è stata opera dei Palestinesi, domani si potrà legittimamente sostenere che quella di Piazza Fontana fu veramente opera degli anarchici e così via. Senza dimenticare che accollare proprio ai Palestinesi la più orrenda delle stragi consente alla fava revisionista di cogliere un secondo piccione: oltre alla definitiva legittimazione interna, la nuova Destra di governo rimedierebbe anche l’imperitura gratitudine di Israele e delle sue lobby, mentre a protestare per l’ennesima infamia commessa ai danni di un popolo sempre più martoriato rimarrebbero in pochi, come – effettivamente – sono in pochi, almeno ai livelli che contano, quelli che continuano a sostenere le ragioni e il diritto all’esistenza del popolo palestinese. Eppure, a dubitare della riuscita di un’operazione così spregiudicata ci aiuta la frase di un uomo importante, uno di quelli che, piaccia o no, la storia l’hanno fatta, non hanno solo cercato di riscriverla a proprio piacimento. Quell’uomo, che di nome faceva Abramo Lincoln e di mestiere il Presidente degli Stati Uniti, amava ripetere: “Si può ingannare tutti a volte, qualcuno sempre, ma non è possibile ingannare tutti tutte le volte”. Sarà bene che Alemanno e quelli come lui lo tengano presente.


www.forumpalestina.org

Più del fascismo - di Alberto Asor Rosa - da il Manifesto

Il terzo Governo Berlusconi rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso nella storia d'Italia dall'Unità in poi. Più del fascismo? Inclino a pensarlo. Il fascismo, con tutta la sua negatività, costituì il tentativo di sostituire a un sistema in aperta crisi, quello liberale, un sistema completamente diverso, quello totalitario. Pochi oggi possono consentire con la natura e gli obbiettivi di quel tentativo; nessuno, però, potrebbe contestarne la radicalità e persino, dentro un certo assai circoscritto ambito di valori, le buone intenzioni.
Berlusconi invece non è che il prodotto finale e consequenziale di una lunga decadenza, quella del sistema liberaldemocratico, cui nessuno per trent'anni ha saputo offrire uno sbocco politico-istituzionale in positivo: è il figlio naturale del craxismo; è il figlio naturale dell'affarismo democristiano ultima stagione (ben altri titoli d'onore si possono inscrivere nel blasone storico della Dc); è il figlio naturale dell'incapacità dimostrata nella politica in questo paese di rappresentare gli «interessi generali» e non quelli, inevitabilmente affaristici, anche quando non personalmente lucrativi, di piccoli gruppi autoreferenziali, che pensano solo a se stessi.
Berlusconi, dunque, prima che essere fattore di corruzione, nasce da una lunga, insistita, fortunata pratica della corruzione: rappresenta fedelmente la decadenza crescente del pianeta Italia; per forza di cose non sa che governare attraverso la corruzione: la diffonde spontaneamente intorno a sé; crea un vergognoso sistema giuridico per difendersi quando sia stato colto in passato con le mani nel sacco e per continuare a farlo impunemente; modella l'Italia secondo il suo sistema di valori e, man mano che l'Italia degrada, ne viene alimentato.
In un articolo apparso sul Corriere della sera (13 luglio), come al solito intelligente ed acuto, Ernesto Galli della Loggia se la prende con il «moralismo in un paese solo», che sarebbe il nostro e che consisterebbe nel pensare che «L'Italia che politicamente non ci piace è fatta di gente moralmente ottusa guidata da un malandrino». L'accusa di moralismo astratto e vaniloquente - Galli della Loggia con la sua intelligenza dovrebbe ammetterlo - sarebbe molto meno pungente se la situazione italiana fosse quella da lui descritta. Insomma, il moralismo vano è fastidioso (lo dico con cognizione di causa, avendo studiato a lungo, e con analogo rigetto, gli antigiolittiani). Però alla lunga può diventare ancor più fastidioso che i critici del moralismo non ci dicano se al centro del problema non ci sia la corruzione dominante, e insieme con questa il suo principale rappresentante e beneficiario.
Per corruzione non intendo soltanto, e neanche principalmente, l'appropriazione indebita di denaro pubblico e privato e il culto quasi parossistico del proprio interesse personale: ma la degenerazione del sistema dentro cui il gioco politico, sempre più solo formalmente, continua a svilupparsi: il malcelato disprezzo della Carta costituzionale; l'evidente estraneità alle «forme» (cioè alla «sostanza») della democrazia; la denegazione crescente della separazione dei poteri; l'incapacità dei politici - tutti - di sottrarsi al gioco mortale della pura autoriproduzione; la tendenza in atto a sottomettere tutto a un potere unico. E accanto a questo, la pulsione - per usare una vecchia ma non del tutto inadeguata terminologia - a connotare in senso sempre più ferocemente classista i valori cosiddetti condivisi della morale pubblica e le scelte di politica economica.
È altresì evidente, come giustamente osserva Galli della Loggia, che vedere le cose in questo modo significa mettere all'ordine del giorno anche una riflessione sullo stato attuale della «democrazia rappresentativa» in Italia. Se infatti è per il voto degli elettori italiani che questo scempio può continuare ad ingrandirsi, questo non ci autorizzerà a buttare a mare per intero il sistema ma neanche a giustificare o ignorare lo scempio perché è il voto popolare, fatto in sé astrattamente positivo, a convalidarlo e produrlo. Se, ripeto, le cose stanno così, è evidente che c'è qualcosa (parecchio?) da cambiare o da aggiustare.
Arrivo a una prima conclusione. Io mi sentirei di dire che questo è uno dei momenti della storia italiana in cui «questione sociale» e «questione nazionale» fittamente s'intrecciano, fino a costituire un unico «nodo di problemi» da affrontare insieme. Questo vuol dire che il bisogno di «unità», per quanto tormentato e difficile, è altissimo. Uno degli errori strategici più gravi che si siano commessi nel corso dell'ultimo ventennio è l'essere andati separati - riformisti e radicali - alle ultime elezioni: gli uni, vantandosene come della scoperta del secolo; gli altri, consentendovi con pallida e autolesionistica tracotanza.
Per affrontare questo «nodo di problemi» è fin troppo evidente che le forze politiche dell'attuale opposizione risultano inadeguate. Perché la difficoltà attuale sia superata bisognerebbe che tutte le forze interessate, sia pure da angoli visuali diversi, guardassero fin d'ora a questo traguardo: sto parlando dunque di un processo, non di un arrangiamento fra capi e capetti.
Del Pd non saprei che dire se non che dovrebbe imparare presto a far bene il suo mestiere, che sarebbe quello, se non erro, di un partito moderato che guarda a sinistra (perché se decidesse, da partito moderato, di guardare a destra, il berlusconismo oggi tanto deprecato ci apparirebbe solo una tappa verso precipizi ancora peggiori). Sulla sinistra, che c'è e non c'è, e che in mancanza di altro si dilania, mi sentirei di fare alcune considerazioni di massima.
Il recente congresso di Rifondazione comunista ha avuto il merito di separare più nettamente che in passato i «comunisti» da tutti gli altri. I «comunisti» - per carità, bravissimi compagni, con cui non sarà impossibile mantenere rapporti - vanno per una loro strada, che non porta da nessuna parte. E gli altri? Gli altri dovrebbero porre alla base del loro futuro quel profondo ragionamento critico e autocritico, che finora è mancato e che lo stesso Bertinotti, se si escludono gli ultimi, disperatissimi mesi pre-elettorali, ha accuratamente evitato di affrontare. La cosa riguarda nello stesso modo l'intera galassia di quella parte della realtà politica italiana (che esiste, e come), la quale non s'adatta né alla formula corruttiva berlusconiana né all'opposizione moderata del Pd né alle risposte, piene di pathos, ma programmaticamente e ideologicamente assai deboli del dipietrismo (e di altri fenomeni analoghi ma deteriori).
Se mai ci sarà una Costituente di sinistra (come io mi auguro), mi piacerebbe che i suoi promotori tenessero conto che esistono tre comparti di problemi, uno programmatico, uno strategico e l'altro organizzativo, con cui - quali che siano le soluzioni da proporre - non si dovrebbe evitare di confrontarsi.
Il comparto programmatico è di gran lunga il più importante, ma qui posso evocarne solo il principio ispirativo. Se non si è comunisti, si è riformisti: bisogna accettare l'inevitabilità di questo décalage storico. Ma ci sono molte forme di riformismo: e ciò che le distingue è il programma (di cui non c'è traccia alcuna nei recenti dibattiti, anche quelli congressuali!).
Quella cui io penso è una forma molto radicale di riformismo, che preme su tutti i gangli della vita sociale, va più in là, s'occupa in modo più generale della «vita», delle collettività ma anche di ognuno di noi individualmente inteso, e propone soluzioni che spostano i rapporti di forza. Il cambiamento è in atto da quando lo si inizia, non c'è bisogno di arrivare al risultato finale per conoscerne tutti gli effetti. Dal punto di vista strategico non si potrà fare a meno di comporre in un quadro unitario «questione sociale» e «questione ambientale».
La cosa, se si entra nel merito, è tutt'altro che semplice: una classe operaia ecologista ancora non s'è vista ma neanche s'è visto un militante ecologista capace di «pensare» la «questione sociale» contemporanea. E pure sempre più avanza la consapevolezza che il destino umano risulta dalla composizione, meditata e razionale, delle due prospettive e cioè, per parlarne in termini politici, dalla sovrapposizione e dall'intreccio del «rosso» e del «verde».
Infine: se qualcuno pensa che la crisi della sinistra si risolva creando un nuovo piccolo partito dei frantumi dei vecchi, farebbe bene a cambiare opinione il più presto possibile. Ciò a cui sembra opportuno pensare è un vasto e persino eterogeneo movimento di forze reali, che sta dentro e fuori i vecchi partiti e per il quale vale la parola d'ordine che l'unica organizzazione possibile è l'autorganizzazione: una rete di istanze e rappresentanze diverse, collegate strategicamente e non gerarchicamente, che assorba e rivitalizzi le vecchie forze piuttosto che viceversa.
Certo, perché il discorso funzioni è necessario ammettere che tutte le volte in cui in Italia si riaffaccia una «questione morale» - cioè, come ho cercato di spiegare, un problema di degrado e di corruzione della vita pubblica e della democrazia - torna ad affiancarlesi l'ancora più stantia e veramente obsoleta parola d'ordine di una «rivoluzione intellettuale e morale». È questo cui pensiamo quando diciamo che la lotta al berlusconismo è al tempo stesso «questione sociale» e «questione nazionale»? Siamo retro al punto di rispondere tranquillamente di sì a questa domanda. In fondo tutto si riduce a questa semplicissima prospettiva: cambiare i tempi, i modi, le forme, i valori, i protagonisti dell'agire politico in Italia. Il resto verrà da sé.


Tratto da Megachip - Democrazia nella Comunicazione - 08/08/08